Bruxelles – Per adesso, a parte le promesse, si è visto poco e niente. Gli Stati europei si sono impegnati a versare tre miliardi ad Ankara ma ancora non li hanno sborsati, la Turchia si è impegnata ad impedire le partenze dei rifugiati verso la Grecia, ma i flussi non accennano a diminuire. Così la cancelliera tedesca, principale sponsor europeo della necessità di stringere un accordo con Ankara, tenta di correre ai ripari chiedendo un aiuto esterno, quello dell’Alleanza atlantica. L’annuncio è arrivato nel corso della visita di Angela Merkel in Turchia: “Utilizzeremo l’incontro dei ministri della difesa della Nato” in programma questa settimana a Bruxelles “per capire in che misura la Nato può sostenere il lavoro di Frontex e della guardia costiera turca”, ha annunciato la cancelliera dopo avere incontrato il premier turco, Ahmet Davutoglu che pare condividere l’idea. Faremo “sforzi comuni”, ha confermato, per coinvolgere la Nato nel pattugliamento del mare Egeo.
Nella pratica l’idea si potrebbe tradurre in un cambio di mandato della missione Nato Active Endeavour, attiva dal 2001 nel Mediterraneo per scoraggiare attività terroristiche. Già a novembre dello scorso anno, Francia Italia e Spagna avevno chiesto che le due navi, impegnate oggi in missioni di pattugliamento, potessero invece essere impiegate piuttosto per la sorveglianza e la raccolta di informazioni a sostegno della missione Ue contro gli scafisti (allora Eunavfor Med, oggi Sofia). Ma perché questa iniziativa, o altre simili, possano concretizzarsi, occorre però il via libera di tutti i membri dell’Alleanza atlantica e pare molto difficile che questo possa arrivare, tantomeno nella ministeriale in programma tra pochi giorni.
Oltre a chiedere l’aiuto della Nato, nel corso della visita Merkel ha insistito sulla necessità di “miglioramenti rapidi e visibili” nella messa in atto dell’accordo da parte di Ankara. Pressioni che però sembrano iniziare a infastidire le autorità turche. Davutoglu ha ricordato che il Paese accoglie già 2,7 milioni di profughi e che non si può pensare che Ankara “porti da sola questo fardello”. Più netto il vicepremier, Yalcin Akdogan: “Da una parte ci dicono ‘aprite i confini, fate entrare tutti’ e dall’altra ci dicono ‘chiudete i confini, non lasciate uscire nessuno’” ha lamentato. “Senza nemmeno darci soldi, ci dicono ‘prendere queste persone è una necessità di coscienza”, ha continuato, provocando: “Solo noi dobbiamo agire secondo coscienza? Perché non li lasciano entrare loro?”.
Davutoglu ha anche informato Merkel che già la prossima settimana Ankara saprà fornire informazioni più precise su come intende impiegare i tre miliardi di euro che l’Unione europea si è impegnata a versare. Dovrebbe trattarsi soprattutto di concedere permessi di lavoro per i siriani in Turchia così da incentivarli a restare nel Paese, di sistemi per accrescere le capacità della guardia costiera e di pene più severe per combattere il traffico di esseri umani, iniziando a considerarlo come crimine organizzato.
Ankara ha anche rassicurato sulla riapertura del confine con la Siria dove ora rimangono bloccati circa 30mila civili in fuga dall’offensiva del regime siriano sulla città di Aleppo: “Come sempre provvederemo ai bisogni dei nostri fratelli siriani e li accetteremo” ma solo “quando sarà necessario”, ha dichiarato Davutoglu rispondendo così ai richiami dell’Alto rappresentante per la politica estera Ue, Federica Mogherini che in questi giorni ha ricordato l’esistenza di “un dovere morale di accoglienza”.
A proposito dei siriani costretti a fuggire, Merkel si è detta “inorridita” dalle “sofferenze inumane” che queste persone devono subire e ha condannato “i bombardamenti, soprattutto da parte russa” sulla città.