di Thomas Fazi e Enrico Grazzini
Come è possibile difendere e sviluppare il sistema bancario italiano sotto attacco e su cui gravano 360 miliardi di crediti deteriorati? Come è possibile per lo Stato, oberato da debiti, e in particolare per la società semipubblica Cassa Depositi e Prestiti trovare le risorse per nazionalizzare MPS e ridare ossigeno all’economia in crisi? È possibile trovare i soldi per una nuova politica economica democratica, espansiva e sostenibile? Sì, è possibile. Con la moneta fiscale.
Negli Stati Uniti, nel 2008, quando è scoppiata la crisi dei subprime, politica monetaria e politica fiscale furono utilizzate con molta aggressività. La Fed, la banca centrale americana, ha inondato di dollari l’economia “stampando” migliaia di miliardi di dollari. Nel momento in cui gli investitori impauriti volevano ritirare i loro soldi dalle banche in crisi, la Fed permise alle banche di ritirare denaro in quantità pressoché illimitata, accettando in cambio collaterali (ovvero beni in garanzia) poco affidabili, tra cui i subprime, cioè mutui spesso non onorati, e i cosiddetti “titoli tossici”, ovvero i micidiali derivati. Così facendo, la Fed ha letteralmente ripulito i bilanci bancari deterioratesi a causa di folli speculazioni. Queste linee di credito hanno permesso alle banche e alle altre istituzioni finanziarie di restituire il denaro agli investitori senza essere costrette a vendere i loro asset a basso prezzo e senza affondare il mercato finanziario. Il bilancio della Fed si è gonfiato a dismisura, raggiungendo il 30% e oltre del PIL statunitense, ma le banche non sono andate in bancarotta e non si è prodotto un effetto sistemico che avrebbe mandato in rovina tutta l’economia, non solo quella finanziaria, ma anche e soprattutto quella reale. La disoccupazione è aumentata ma i fallimenti sono stati limitati.
Da parte sua, per aumentare l’occupazione, il governo inaugurò una politica fiscale estremamente espansiva. Introdusse il programma TARP da 700 miliardi di dollari (circa il 5% del PIL americano) per rimuovere i titoli tossici e i crediti deteriorati dalle banche; inoltre acquistò azioni delle banche in crisi e in pratica ne nazionalizzò alcune pur di rimpinguare il loro capitale. L’obiettivo era di evitare il fallimento delle banche e tornare alla normalità. Per salvare le banche l’amministrazione Obama ha aumentato notevolmente il deficit pubblico, che nel 2010 ha raggiunto il 9% del PIL, e conseguentemente ha aumentato anche il debito, che ha oltrepassato il 100% del PIL.
L’azione del governo e della Fed ha avuto successo e l’economia ha ripreso a crescere. Tuttavia la politica espansiva ha solo messo una pezza alla crisi strutturale: le regole perverse del sistema monetario non sono cambiate, nessuna banca è stata nazionalizzata, e i soldi non sono arrivati al pubblico, alla middle class e alla classe lavoratrice. Le diseguaglianze sociali ed economiche sono cresciute. Ma l’economia, almeno temporaneamente si è salvata stampando dollari (politica monetaria) e aumentando il bilancio pubblico in deficit (politica fiscale).
In Italia non possiamo fare politiche identiche perché non abbiamo più sovranità monetaria, ceduta alla BCE, e perché abbiamo troppo debito pubblico per creare ulteriore deficit fiscale. L’unica possibilità di attuare manovre espansive si basa allora sulla creazione e sull’utilizzo della cosiddetta moneta fiscale. Ovvero quella moneta complementare (ma non sostitutiva) all’euro su cui puntava nell’ultima fase della sua vita anche il compianto Luciano Gallino e che è attualmente promossa da un gruppo di economisti (oltre agli autori del presente articolo, Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Stefano Sylos Labini e altri).
Che cosa potrebbe fare allora la Cassa Depositi e Prestiti diretta da Claudio Costamagna e Fabio Gallia? CDP è un organismo ibrido: è una società privata ma è controllata dal Tesoro e dalle fondazioni bancarie. Come società privata i suoi debiti non rientrano nel perimetro dei debiti statali. Come società controllata dallo Stato ha però la missione di operare per il bene pubblico e non solo per il profitto. Il suo compito dovrebbe quindi essere quello di fare politica industriale, di sviluppare le infrastrutture e le reti digitali, e di garantire le società strategiche per lo sviluppo economico nazionale, come MPS, Ilva, Telecom Italia, ecc. CDP ha sulla carta grandi disponibilità: gestisce il risparmio postale per 252 miliardi e ha risorse liquide pari a oltre 180 miliardi. Il problema però è che ha un vincolo preciso: CDP non può avventurarsi in operazioni pur promettenti e redditizie che presentino dei rischi di carattere finanziario. Infatti le sue grandi risorse provengono per la gran parte dai depositi postali garantiti di milioni di persone e pensionati a basso reddito che non possono essere in alcun modo minacciati.
Che cosa potrebbe fare allora CDP per raccogliere a basso costo prestiti per decine di miliardi e sicuri per i risparmiatori? La CDP potrebbe emettere “obbligazioni con valore fiscale” garantite dallo Stato per raccogliere risorse sul mercato. CDP si potrebbe accordare con l’amministrazione statale in modo da poter emettere titoli fruttiferi con scadenza nel lungo termine (per es. 10-20 anni) con l’opzione che nel medio termine (per es. 3 anni) possano essere convertiti in sconti fiscali – ovvero siano accettati dallo Stato per il pagamento delle tasse al loro valore nominale. CDP raccoglierebbe così sul mercato risorse a basso costo, mentre lo Stato acquisterebbe un credito verso CDP – sotto forma di obbligazioni CDP a lungo termine – per i titoli effettivamente convertiti in sconto fiscale. Lo Stato quindi non aumenterebbe il suo debito pubblico a causa dell’accettazione delle obbligazioni CDP. Anzi ci guadagnerebbe. E CDP guadagnerebbe dalla garanzia statale perché emettere un titolo con garanzia dello Stato, cioè un titolo non rischioso e ultrasicuro come sconto fiscale, comporta un esborso minimo di interessi.
Ma questa non è l’unica soluzione possibile. Senza “passare per la CDP” lo Stato potrebbe emettere direttamente un altro tipo di moneta fiscale complementare all’euro: i certificati di credito fiscale (CCF), ovvero titoli di credito fiscale utilizzabili dopo due anni dalla loro emissione, negoziabili esattamente come i BOT e i BTP, e quindi convertibili immediatamente in euro. Lo Stato potrebbe utilizzare i CCF per fornire adeguate garanzie sui crediti non esigibili; per comprare asset deteriorati delle banche in crisi ed entrare direttamente nel loro capitale azionario (i crediti d’imposta rientrano già nel patrimonio delle banche, anche se la cosa è sempre più contestata dalla UE). Potrebbe creare un forte polo pubblico con MPS ed eventualmente il Bancoposta; potrebbe agevolare processi di aggregazione, ecc. Gli istituti di credito potrebbero poi commercializzare con profitto i CCF presso il pubblico e avviare la negoziazione sul mercato finanziario. Il vantaggio è che i CCF non dovrebbero comparire come debito al momento dell’emissione poiché, essendo sconti fiscali non rimborsabili in euro (che non prevedono cioè obbligazioni di pagamento da parte dello Stato), non dovrebbero rappresentare una passività finanziaria in base al regolamento Eurostat.
Esiste ancora un’altra possibilità, più radicale ma anche più efficace, simile al quantitative easing for the people invocato dal leader laburista britannico Jeremy Corbyn. Un governo di sinistra dovrebbe prevedere che la moneta fiscale venga distribuita gratuitamente a famiglie e imprese, e sia anche utilizzata dallo Stato come mezzo di pagamento, per esempio per pagare un reddito minimo ai cittadini. La scommessa è che, grazie al moltiplicatore keynesiano, il potenziale deficit fiscale futuro legato ai crediti fiscali verrà più che compensato dal maggiore gettito conseguente alla crescita del PIL.
Olivier Blanchard, l’ex capoeconomista del Fondo monetario internazionale, ha già dimostrato che in una situazione come quella presente attualmente in Italia, di grande sottoutilizzazione delle risorse produttive, il moltiplicatore è superiore a uno: ovvero l’aumento di reddito legato ai CCF produrrebbe un aumento ancora maggiore del PIL. Grazie al moltiplicatore, il potenziale deficit fiscale verrebbe più che compensato dal maggiore gettito conseguente alla crescita del PIL. Si tratterebbe di una manovra di grande impatto sociale, economico e politico per ridare ossigeno a un’economia malata caduta nella trappola della liquidità. Moneta fiscale dentro l’euro ma anche oltre l’euro, per uscire dalla crisi e aggirare i vincoli suicidi dell’austerità. Per aumentare i redditi delle famiglie e dei lavoratori e fare crescere l’occupazione.