di Emiliano Brancaccio
Intervento di Emiliano Brancaccio alla conferenza “Per un piano B in Europa”, Parigi, 23-24 gennaio 2016. In esso Brancaccio analizza criticamente la proposta di Oskar Lafontaine di un ritorno al vecchio Sistema monetario europeo (SME), sostenendo che le forze della sinistra oggi dovrebbero mettere in discussione non solo la moneta unica europea ma anche le caratteristiche più estreme del mercato unico europeo, a partire dalla libera mobilità dei capitali da e verso paesi orientati alla deflazione.
Oskar Lafontaine propone di tornare al vecchio Sistema monetario europeo (SME). Per rendere questa soluzione percorribile sarebbe necessario imporre sanzioni ai paesi che adottano politiche deflazioniste per accumulare surplus verso l’estero. Un’efficace sistema di sanzioni potrebbe basarsi su limiti alla indiscriminata mobilità dei capitali da e verso questi paesi. A riprova del suo realismo, tale soluzione potrebbe essere applicata immediatamente e indipendentemente da un singolo paese così come potrebbe essere estesa passo dopo passo a ulteriori accordi tra paesi.
1. Il monito degli economisti: il destino dell’euro è segnato
Nel Settembre 2013 il Financial Times pubblicò il cosiddetto “Monito degli economisti”, una lettera firmata da molti influenti membri della comunità accademica internazionale appartenenti a diverse scuole di pensiero: Dani Rodrik, James Galbraith, Wendy Carlin, Jan Kregel, Mauro Gallegati e altri[1].
Le idee alla base del monito erano le seguenti. La continuazione delle politiche di austerità e di deflazione nell’Unione monetaria europea aumenterà gli squilibri tra paesi creditori e debitori, con una conseguente centralizzazione dei capitali dal Sud al Nord Europa e ulteriori crisi bancarie. Come risultato di questo processo, il destino dell’euro sarà segnato. L’Unione monetaria europea, almeno come l’abbiamo conosciuta, tenderà a deflagrare e i responsabili politici saranno lasciati di fronte a una scelta tra differenti vie di uscita dall’euro, ciascuna con differenti effetti sulle diverse classi sociali.
Queste erano le conclusioni del monito, risalente a più di due anni fa. Vi sono varie ragioni per ritenere che le sue tesi di fondo siano ancora valide e che possano essere confermate in futuro. Se accettiamo tali tesi, allora vanno tratte due conseguenze. In primo luogo, un “piano B per l’Europa” sarà necessario, presto o tardi, per ragioni oggettive. Disporre di un “piano B” non sarà un’opzione politica minoritaria, ma diventerà una necessità storica. In secondo luogo, non esiste un solo tipo di “piano B”. La storia delle crisi passate evidenzia che le opzioni di uscita da un regime monetario sono varie e molto differenti tra loro, e che ognuna ha implicazioni diverse per i diversi gruppi sociali coinvolti[2].
2. La proposta di Schäuble: il perfetto “piano B” per i creditori
Consideriamo per esempio il “piano B” suggerito per la Grecia dal ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble. Tale opzione è l’unica esplicitamente citata nei documenti ufficiali dell’Unione europea, più specificatamente nei verbali dell’Eurogruppo[3].
La “proposta Schäuble” può essere descritta come il perfetto “piano B” per i creditori. La ragione è semplice: la ridenominazione del debito (nella nuova valuta locale) è ciò che davvero spaventa i creditori. Il piano Schäuble avrebbe permesso alla Grecia di abbandonare l’euro, ma era disegnato per prevenire il rischio che la Grecia ridenominasse il suo debito in dracme svalutate. La storia ha molto da insegnarci su questo punto: a fronte di una minaccia di ridenominazione, i creditori non possono esser protetti da semplici impegni contrattuali. Rispetto a questo problema, Schäuble propose una soluzione per proteggere i creditori. Egli sapeva che se la Grecia avesse abbandonato l’euro si sarebbe trovata con un eccesso di importazioni sulle esportazioni, cioè con un deficit estero da coprire con moneta. Si deve notare che questo deficit estero non verrebbe ridotto da una svalutazione, almeno non immediatamente. Schäuble quindi offrì al governo greco un sostegno finanziario per coprire il deficit estero dopo l’uscita e persino una eventuale ristrutturazione del debito, ma solo a condizione che il debito greco rimanesse in euro.
Il “piano B” di Schäuble riecheggia in qualche modo la proposizione chiave del Gattopardo, un celebre romanzo italiano: che tutto cambi affinché nulla cambi. Nel caso del piano Schäuble, tutto doveva cambiare, anche la moneta, al fine di non cambiare nulla riguardo ai rapporti di forza tra debitori e creditori e tra le classi sociali. Questo tipo di “piano B” sarebbe stato catastrofico. Il peggio del rimanere nell’euro combinato con il peggio dell’uscirne.
Dobbiamo dirlo con chiarezza: dati gli attuali rapporti di forza in Europa, e dato il grande ritardo delle forze di sinistra su questo tema, in caso di precipitazione degli eventi nell’eurozona la proposta Schäuble potrebbe essere il solo “piano B” sul tavolo delle future trattative, non solo per la Grecia ma anche per altri paesi.
3. La proposta di Lafontaine: un ritorno al vecchio Sistema monetario europeo (SME)
Fortunatamente esistono anche altre soluzioni. Consideriamo, per esempio, il “piano B” che consiste nella possibilità di un ritorno al vecchio SME. Questa opzione è stata avanzata da varie parti: Oskar Lafontaine, come sappiamo, è uno dei suoi sostenitori[4].
Uno dei meriti della proposta di Lafontaine, dal mio punto di vista, è il fatto di mettere in chiaro che lasciare i tassi di cambio alla mercé delle forze di mercato non sarebbe la soluzione ottimale. I cambi flessibili alimenterebbero la speculazione e lavorerebbero nell’interesse del peggior capitalismo finanziario. Inoltre, non è detto che aiuterebbero a risolvere gli squilibri strutturali e a mitigare la centralizzazione dei capitali all’interno dell’attuale zona euro[5].
Detto ciò, a mio parere la proposta Lafontaine non è da sola sufficiente, e dovrebbe essere integrata. L’idea di tornare al vecchio Sistema monetario europeo può esser considerata come una ipotesi iniziale, non come il punto di arrivo della nostra analisi. I limiti di un ritorno allo SME risiedono nel fatto che esso trascura un problema che è stato esaminato a fondo nella letteratura accademica sotto i nomi della “triade impossibile” o del “quartetto incoerente” dell’economia internazionale. In poche parole, il problema si riferisce alla difficoltà per ogni paese di garantirsi dei margini di autonomia per le politiche economiche nazionali in condizioni di completa libertà di circolazione internazionale del capitale e in parte anche dei beni. Per esempio, in una situazione di perfetta mobilità di beni e soprattutto dei capitali, un paese che tenda ad accumulare un deficit delle partite correnti non può perseguire politiche economiche tese ad aumentare l’occupazione.
Si noti che la possibilità di aggiustare i tassi di cambio, prevista dallo SME, non era sufficiente a risolvere questo problema. Le politiche economiche dei paesi con una tendenza a sviluppare un deficit esterno erano fortemente influenzate dalle politiche economiche della Germania, il paese egemone che tendeva ad accumulare surplus. È proprio su questo punto che l’idea di una banca centrale emerse agli inizi degli anni ‘90, soprattutto da parte francese. L’idea prevalente in Francia era che lo SME fosse dominato dalle politiche monetarie della Germania e che una banca centrale Europea avrebbe aiutato a rendere le scelte politiche più condivise. Se non ricordiamo le condizioni della transizione dallo SME all’eurozona, rischiamo di trascurare alcuni aspetti cruciali della storia dell’unificazione europea.
Per questi motivi, ritengo che sebbene la proposta di Lafontaine di discutere un ritorno allo SME sia da ritenersi benvenuta, per poter compiere un passo avanti è necessario introdurre dei meccanismi ulteriori che limitino l’egemonia dei paesi con surplus delle partite correnti, una egemonia che esiste oggi ma che esisteva anche all’interno dello SME. Per essere ancor più chiari, un mero ritorno allo SME oggi non sarebbe sufficiente a risolvere gli enormi squilibri alimentati dalla deflazione salariale relativa in Germania, dove dal 1999 al 2013 i salari monetari sono cresciuti di appena la metà rispetto alla media dell’eurozona.
4. Controlli sui capitali contro le politiche deflazioniste
Gli economisti sanno che esiste una sola soluzione logica a questo problema: qualche tipo di sanzione dovrebbe essere imposta ai paesi che usano la deflazione per aumentare il proprio surplus esterno.
In una prospettiva da “piano A”, di riforma dei trattati UE, sanzioni monetarie simili a quelle attualmente previste per i paesi con deficit di bilancio pubblico eccessivi potrebbero esser considerate. In sostanza, si tratterebbe di rendere l’attuale “six-pack” più esteso e vincolante. Il problema è che un “piano A” non sembra molto realistico, soprattutto nell’attuale fase storica.
Nella prospettiva più realistica di un “piano B”, dunque, nel quale i trattati non sarebbero riformati e la zona euro tenderebbe a deflagrare, quale tipo di sanzioni dovrebbero essere imposte ai paesi che, nonostante i loro ampi surplus delle partite correnti, adottassero ancora politiche deflazioniste? Io penso ci sia una sola risposta logica: deve esser possibile introdurre limiti alla libera circolazione dei capitali e forse anche dei beni da e verso quei paesi.
Questo significa, secondo me, che il ritorno a una sorta di SME dovrebbe essere combinato con la possibilità di imporre controlli di capitali da e verso i paesi che usino la deflazione per accumulare avanzi delle partite correnti. Vi prego di notare che questo tipo di soluzione ha riferimenti autorevoli. Tracce di essa si trovano nei contributi dell’Organizzazione internazionale del lavoro sui cosiddetti “labour standards”, e persino nello statuto del Fondo monetario internazionale. Io chiamo questa proposta “European Monetary Balanced Agreement” (EMBA), ma il nome non è importante[6]. Ciò che davvero conta è che tale soluzione potrebbe essere immediatamente adottata in maniera indipendente da parte di ciascun paese così come essere estesa passo dopo passo a ulteriori accordi tra paesi. Per questo la considero una soluzione più realistica di altre.
5. Contro l’onda nera della xenofobia
Nel piano appena descritto vi è, implicita, quella che potremmo definire una “critica progressista” alla globalizzazione indiscriminata. Dal mio punto di vista, questa critica può rappresentare anche un modo per cercare di contrastare l’onda nera montante degli odierni neo-fascismi.
Su questo punto, lasciate che fornisca un esempio preciso. Mentre i nazionalisti xenofobi lottano per maggiori controlli sull’immigrazione, una rinnovata sinistra dovrebbe opporre a quest’onda nera l’alternativa dei controlli alla mobilità indiscriminata dei capitali da e verso i paesi che perseguano politiche di deflazione e di competizione al ribasso sui salari. Le forze di destra raccolgono consenso attraverso una facile battaglia contro l’immigrazione. Dovrebbe esser giunto il momento di proporre un’alternativa razionale e progressiva: arrestare i movimenti internazionali di capitali indiscriminati e deflazionistici.
6. Una critica alle caratteristiche più estreme del mercato unico europeo
Concludendo, credo sia giunto il momento di superare un’incomprensione che per certi versi trova le sue origini in un’ingenua interpretazione del concetto di “‘internazionalismo del lavoro”. Noi dovremmo chiarire a noi stessi che sostenere l’internazionalismo del lavoro non significa accettare una globalizzazione indiscriminata ma richiede piuttosto una continua organizzazione delle lotte sociali al fine di favorire uno sviluppo continuo, equilibrato e pacifico delle relazioni economiche tra nazioni.
Da questo punto di vista, la proposta di Lafontaine e di altri di un ritorno allo SME è a mio avviso benvenuta. Ma se vogliamo davvero proporre un coerente “piano B per l’Europa” allora dobbiamo esprimerci con estrema chiarezza sul punto: dobbiamo mettere in discussione non solo la moneta unica europea ma anche le caratteristiche più estreme del mercato unico europeo, a partire dalla libera mobilità dei capitali da e verso paesi orientati alla deflazione.
La globalizzazione capitalistica non è certo finita, ma sta attraversando una fase di crisi. I partiti di destra hanno notato questa tendenza e la sfruttano a loro vantaggio. Le forze di sinistra dovrebbero chiudere questo ritardo avanzando criticamente proposte internazionaliste adatte all’attuale complessa fase storica. Il ritorno a una sorta di Sistema monetario europeo con controlli sui capitali contro le politiche deflazioniste potrebbe costituire un’opzione coerente e razionale, nell’interesse dei lavoratori e della pace, in Europa e nel resto del mondo.
Pubblicato in inglese sul sito dell’autore. Traduzione a cura di Lorenzo Battisti per Marx21.it.
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Note
[1] Brancaccio, E. et al., “The Economists’ Warning: European governments repeat mistakes of the Treaty of Versailles”, Financial Times, 23 settembre 2013; www.theeconomistswarning.com.
[2] Brancaccio, E. e Garbellini, N., “Currency regime crises, real wages, functional income distribution and production”, European Journal of Economics and Economic Policies, vol. 12, n. 3, 2015.
[3] «In case no agreement could be reached, Greece should be offered swift negotiations on a time-out from the euro area, with possible debt restructuring», verbali dell’Eurogruppo, 12 luglio 2015.
[4] Lafontaine, O., The European Monetary System (EMS): Let’s Develop a Plan B for Europe!, Global Research, 23 settembre 2015.
[5] Vedi Brancaccio, E. e Fontana, G., “‘Solvency rule’ and capital centralisation in a monetary union”, Cambridge Journal of Economics, 29 ottobre 2015.
[6] L’idea dell’EMBA potrebbe essere vista come una generalizzazione della precedente proposta per “uno standard salariale europeo”: Brancaccio, E., “Current account imbalances, the Eurozone crisis and a proposal for a ‘European wage standard’”, International Journal of Political Economy, vol. 41, n. 1, 2012.