Roma – Istituire “una tassa comune e un ministro delle Finanze comune sono interessi molto centrali per la Germania nell’ottica di un approfondimento dell’Unione economica e monetaria”. Per Berlino, però, è ancora presto per parlare di un’elezione diretta per questo nuovo ‘euroministro’, come invece propone il governo italiano. L’ambasciatrice tedesca a Roma, Susanne Wasum-Rainer, lo spiega in una intervista a Eunews, evidenziando le perplessità che un suffragio per la selezione di questa nuova figura possa risolvere il deficit di democrazia nelle scelte economiche della Zona Euro. Un problema che esiste, ma per affrontarlo non va messa in discussione neppure l’assoluta indipendenza della Banca centrale europea. “Noi non vogliamo che ci sia alcun controllo politico sulla Bce”, spiega, neppure se a esercitarlo fosse una istituzione comunitaria. Riguardo ai passi più imminenti per l’integrazione, come il completamento dell’Unione bancaria, la Germania respinge al mittente l’invito – rinnovato appena ieri dal governatore Mario Draghi – ad accelerare sull’adozione del meccanismo di garanzia comune sui depositi.
Ambasciatrice, il governo italiano ha lanciato una dibattito sulla modifica dei Trattati europei in vista del 60° anniversario dei Trattati di Roma, 25 marzo 2017. Martedì ci sarà una conferenza tra i Paesi fondatori per discuterne. Qual è il contributo che la Germania intende dare?
Siamo molto grati all’Italia per questo invito all’incontro organizzato per la preparazione del 60° anniversario dei Trattati di Roma. La Germania darà un contributo vigoroso e costruttivo a questo dibattito e alla conferenza. Per noi è di estrema importanza che vengano rispettate alcune condizioni: è assolutamente da evitare che altri Paesi della grande famiglia a 28 si sentano esclusi da questo gruppo di Stati fondatori, poi non vogliamo una duplicazione delle tematiche che vengono discusse nell’ambito del Consiglio europeo e, infine, consideriamo fondamentale informare gli altri Stati membri prima che vengano raggiunti dei risultati, in modo che nessuno si senta sorpreso da decisioni prese.
La discussione sulla Brexit e i governi euroscettici in Polonia e Ungheria mostrano che non tutti i membri dell’Ue voglio una maggiore integrazione. Si configura un’Europa a due cerchi, come ipotizza il sottosegretario Sandro Gozi?
La sua domanda contiene più elementi che vorrei separare. In primo luogo non crediamo che l’incontro di martedì prossimo sia il forum giusto per parlare di Brexit. Non crediamo neppure che possa essere il luogo giusto per parlare di diversi cerchi che potrebbero nascere, anzi è il contrario. A dire il vero, crediamo che l’incontro di martedì debba essere una sveglia per tutti su qual è la posta in gioco se si continua a pensare in maniera nazionalista.
L’obiettivo della revisione dei trattati è quello del federalismo europeo, come chiede il documento presentato al Parlamento europeo dalla Presidente della Camera, Laura Boldrini, e sottoscritto anche da quello del Bundestag Norbert Lammert?
Il presidente del Bundestag ha aderito a questa bella iniziativa della sua collega Boldrini. Però è stata promossa inizialmente solo da 4 presidenti di Assemblee parlamentari europee – dunque neanche tutti quelli dei Paesi fondatori – e sono appunto dei Parlamenti e non dei governi che l’hanno abbracciata. Boldrini parla di una maggiore parlamentarizzazione del processo europeo, che poi è il contenuto del documento. L’obiettivo degli Stati uniti d’Europa è una bellissima visione che viene condivisa da tanti, in Germania come in Italia, ma non si può dire che possa essere una meta per domani. Procedere con piccoli passi, anche piccolissimi, conduce meglio all’obiettivo che ci siamo prefissati. È un processo di integrazione il cui approdo rimane aperto.
Non sembra un piccolo passo quello di istituire un ministro delle finanze europeo e un’eurotassa, come propone il vostro ministro dell’Economia, Wolfgang Schaeuble.
Ha ragione. Ma durante la crisi finanziaria abbiamo fatto passi rapidi verso l’integrazione, come l’Unione bancaria e il pacchetto sul salvataggio. Passi ulteriori, come una tassa comune e un ministro delle Finanze comune sono interessi molto centrali per la Germania nell’ottica di un approfondimento dell’Unione economica e monetaria, con dei meccanismi vincolanti per chi fa parte dell’Area Euro. Siamo convinti che la moneta comune renda necessaria una struttura per gestire la vita economica e finanziaria all’interno dell’Eurozona.
In molti chiedono una maggiore democraticità di questa gestione, non solo tra i movimenti euroscettici. Il governo Italiano è d’accordo su un ‘euroministro’ delle Finanze e ne propone l’elezione diretta. È un’idea che condividete?
Credo sia ancora troppo presto per affrontare questi argomenti. Al momento non ci sono altri rappresentanti di istituzioni europee direttamente eletti se non nel Parlamento europeo, non sappiamo quali funzioni verrebbero attribuite a questo futuro ministro né quale sarà la sua collocazione nell’assetto istituzionale. È ancora presto per parlare di elezione diretta.
Esiste però un problema di democraticità del processo decisionale, soprattutto nella Zona Euro?
Sì, ha ragione. Ma non so se questo deficit possa essere colmato con l’elezione diretta di un ministro delle Finanze. Poi non si può dire che l’Eurozona non sia governata in maniera democratica, perché tutti i governi che vi partecipano sono stati eletti democraticamente e sono responsabili davanti ai loro rispettivi Parlamenti. Trovo giusto che l’obiettivo debba essere il rafforzamento della parlamentarizzazione. Non credo tuttavia che la lacuna che esiste possa essere superata ora se eleggiamo direttamente questa nuova istituzione.
C’è poi la questione della sovranità monetaria. Al di là di chi si oppone all’euro, ci sono anche europeisti che ritengono debba essere ricondotta sotto un controllo politico, ancorché europeo e non più nazionale.
Per l’euro non si può più parlare di una sovranità nazionale. Al massimo si può dire che c’è una sovranità condivisa tra i partecipanti, ma non si può parlare di una sovranità nazionale. Quello di cui abbiamo bisogno è che la Banca centrale europea sia l’istituzione responsabile della politica monetaria e una caratteristica fondamentale è la completa indipendenza e autonomia della Bce. Noi non vogliamo che ci sia alcun controllo politico sulla Banca centrale europea.
Ha fatto riferimento all’Unione bancaria, uno dei percorsi di integrazione in fase più avanzata. Per il suo completamento manca il sistema comune di garanzia sui depositi. Proprio il suo Paese oppone resistenze a quest’ultimo passaggio. Perché?
Che la prima fase dell’Unione bancaria si sia compiuta con successo è la dimostrazione che anche in momenti difficili sono possibili ulteriori avanzamenti nell’integrazione. Ci sono una serie di passi che vanno compiuti perché l’Unione bancaria possa essere un successo e possa rivelarsi stabile. Ora siamo in una fase in cui è essenziale ridurre al minimo i rischi delle banche. Il nostro obiettivo adesso non è quello di mettere in comune i rischi ma fare in modo che la situazione delle banche che abbiamo sanato e stiamo sanando venga amministrata congiuntamente. Tutti i membri dell’Eurozona hanno acconsentito a questa procedura. Saltare la tappa della minimizzazione dei rischi per passare già alla loro condivisione non era stato concordato e non ha il nostro consenso.
La Germania ha un eccesso di surplus commerciale che sfora i parametri fissati dai Trattati europei. Per questo si è attirata il richiamo della Commissione, ma non sembra voler rimediare questo squilibrio macroeconomico.
È vero, la Germania ha un forte surplus della bilancia commerciale, e del resto anche l’Italia ha un grande surplus commerciale. La Germania è consapevole del fatto che nel lungo periodo questo squilibrio macroeconomico non va bene, quindi è stato messo in campo un grosso intervento, nell’ordine di 15 miliardi di euro, per incentivare il consumo interno e gli investimenti.
Lo scorso anno, il suo Paese è passato in pochi mesi dall’aprire le porte a tutti i profughi siriani al chiuderle sospendendo l’accordo di Schengen. In molti, incluso il presidente del Commissione europea, Jean Claude Juncker, sono convinti che se saltasse la libera circolazione salterebbe l’intera Ue. È un rischio che si avverte anche in Germania?
La Germania ha accolto rifugiati dalla Siria che avevano bisogno di protezione, come prevedeva l’impegno che ci siamo dati come Unione europea. Nel 2015, sono arrivati in Europa 1,6 milioni di rifugiati e 1,3 milioni sono in Germania. Noi ci battiamo per il mantenimento del sistema di Schengen. Lo consideriamo un elemento essenziale dell’Unione europea. Però dobbiamo gestire questo enorme flusso di rifugiati e c’è poca solidarietà da parte degli Stati membri. Trovo assolutamente incomprensibile che un Paese fedelissimo ai valori dell’Ue, e che ha accolto milioni di rifugiati come la Germania, adesso sia oggetto di aspre critiche da parte di altri partner. Anche l’Italia è particolarmente colpita dal flusso migratorio e unitamente all’Italia cerchiamo soluzioni europee. Siamo delusi per come si sta procedendo con la trattativa sulla revisione di Dublino e l’armonizzazione degli standard sull’asilo, sulla migliore gestione delle frontiere esterne, sulla realizzazione di centri di accoglienza ai confini e sulla redistribuzione dei rifugiati che si trovano in Italia e Grecia.
Alcuni giornali hanno attribuito al governo tedesco il progetto di uno spazio Schengen ristretto, del quale non farebbero parte Paesi come Italia e Grecia. Esiste questo piano?
Berlino trova una proposta di questo genere assurda. Non riusciamo neppure a capire cosa si intenderebbe raggiungere con una simile soluzione. È un’idea che non ha nulla a che fare con noi.
L’Italia ha chiesto e ottenuto che i contributi nazionali al programma di aiuti alla Turchia siano considerati neutri ai fini del Patto di stabilità, ma chiede lo stesso principio anche per le altre spese di accoglienza. È ragionevole la richiesta italiana?
La Turchia ha accolto 2,5 miliardi di profughi nei propri campi. Una parte dei rifugiati arrivati in Europa è venuta da questi campi perché le organizzazioni internazionali non sono state in grado di garantire neanche l’alimentazione a queste persone. Quindi tutti i Paesi membri hanno deciso a novembre di mettere a disposizione questi 3 miliardi di euro in modo che ci possano essere un approvvigionamento e un’assistenza ai rifugiati. Già a novembre era stato deciso che i contributi nazionali non sarebbero stati computati nel deficit e per questo non ho capito la richiesta del vostro presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Siamo però soddisfatti che si sia trovata una soluzione positiva per gli aiuti alla Turchia.
Non mi ha detto se il vostro governo ritiene ragionevole considerare anche le altre spese per i migranti al pari degli aiuti alla Turchia. Anche la Germania spende molto per l’accoglienza.
In Europa abbiamo concordato e ratificato insieme il patto di Stabilità, che prevede una clausola in base alla quale, in situazioni eccezionali, quando ci sono spese che non erano prevedibili e dopo aver presentato i relativi calcoli alla Commissione, è possibile chiedere che queste spese non vengano computate nel deficit. La Germania non ha fatto questa richiesta, vediamo che altri Paesi lo hanno fatto e attendiamo le decisioni della Commissione.
Lei ieri è stata ricevuta dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Di cosa avete parlato?
Abbiamo discusso della preparazione del Dialogo di alto livello tra Italia e Germania che si terrà a Torino, il prossimo 23 aprile, e al quale parteciperanno i due capi di Stato. Il presidente e io abbiamo sottolineato la qualità dei nostri rapporti bilaterali e il fatto che questo lavoro congiunto di Germania e Italia è molto importante per l’Europa.
Il Dialogo è alla sua seconda edizione, segno di buoni rapporti tra i nostri Paesi. Però ci sono anche attriti, ad esempio sulla scelta dell’Ue di accantonare il gasdotto South Stream e raddoppiare il North Stream. Sono decisioni sulle quali è possibile riaprire una riflessione?
Una tale questione per la Germania non si pone. Il nostro Paese fa presente che le forniture di gas russo non vengono toccate dalle sanzioni e che il raddoppiamento di North Stream è un progetto portato avanti da consorzi indipendenti che ne stanno esaminando la redditività. La Germania vuole che questi consorzi – ai quali, sottolineiamo, partecipano anche imprese italiane – rispettino le regole nazionali ed europee, soprattutto per la separazione tra forniture e gestione della rete, e devono essere osservate le stesse normative che valevano per South Stream.