di Wolfgang Münchau
Dopo quindici anni, di cui cinque su Spiegel Online, questo è l’ultimo articolo che scriverò per la mia rubrica settimanale. Sono stati anni di crisi – una grave emergenza economica che nel corso del tempo ha assunto costantemente nuove forme.
Dopo quella del mercato immobiliare statunitense e della zona euro, la crisi ha raggiunto i paesi emergenti ed è attualmente aggravata da una serie di turbamenti politici in Europa. Riusciremo a superare questa impasse nel prossimo lustro o i suoi effetti saranno ancora visibili tra quindici anni?
Di certo le cause della crisi non sono riconducibili esclusivamente agli errori dei singoli. Che questi ci siano stati è indubbio, ma si tratterebbe di una spiegazione troppo semplicistica. Alla luce degli attuali sviluppi politici, la sensazione è che il decorso non sarà rapido.
- Con la reintroduzione dei controlli di frontiera, il concetto di libera circolazione delle persone stabilito da Schengen sembra sul punto di collassare – e questa non sarebbe nemmeno una delle conseguenze più gravi.
- Vedo in arrivo grandi problemi per l’Italia. Nonostante il recente accordo raggiunto sullo smaltimento dei crediti deteriorati, il sistema bancario italiano è vicino alla bancarotta. Non siamo pertanto troppo lontani dal momento in cui i politici italiani inizieranno a prendere razionalmente in considerazione un’uscita dall’eurozona.
- Resta ancora da vedere se nel frattempo gli inglesi decideranno di rimanere in Europa e se Ungheria e Polonia avranno detto addio ai loro esperimenti pre-democratici.
Sono inoltre convinto che tra cinque anni l’industria automobilistica europea e, in particolare, quella tedesca sarà più debole di quanto non sia oggi. Questo settore, che svolge un ruolo chiave in Germania, è avviato sulla stessa strada di lavori obsoleti come il rilegatore, il fattorino o il boia. Tra quindici anni saranno in pochi a cercare un lavoro in questo ramo.
Qualcosa deve cambiare
Se saremo in grado di far fronte a questi cambiamenti dipenderà dalla nostra volontà di abbracciare politiche costruttive. La crisi finanziaria globale non si può di certo risolvere con un ritorno agli Stati nazionali. Affrontare la crisi dell’euro richiederà l’apertura degli Stati a una politica economica comune, sebbene in Germania non esistano né maggioranze politiche né opzioni costituzionali a supporto di quest’ultima ipotesi.
L’alternativa sarebbe una significativa riduzione del numero di paesi membri dell’UE, creando un nucleo interno sviluppato attorno alla Germania e un guscio esterno composto da altri Stati. Il primo dovrebbe poi accettare una rivalutazione monetaria che spazzerebbe via tutti gli sforzi fatti negli ultimi vent’anni per aumentare la competitività.
Se vogliamo evitare di cadere in una perenne crisi di bassa crescita e deflazione simile a quella vissuta dal Giappone a partire dagli anni ’90, è necessario iniziare a pensare e a discutere di politica monetaria ed economica in modo diverso. Ma, soprattutto, dovremo dire addio al concetto di “omologazione normativa”. Questo è possibile solo all’interno di uno Stato unitario; non tra paesi che possiedono principi economici, filosofici e giuridici molto diverso tra loro. Eppure è ciò che abbiamo tentato di ottenere con l’UE e con la moneta unica.
L’Unione europea si consumerà dall’interno
Anche con le migliori intenzioni, sarà difficile trovare una soluzione alla nostra crisi permanente, in quanto questo presuppone l’esistenza di interessi comuni. È assai più probabile che le varie crisi facciano il loro corso e che si tenti di mettere una pezza alle relative drammatiche conseguenze sociali ed economiche con misure di emergenza.
Insieme alla fine di Schengen e alla riduzione dell’eurozona, questi sviluppi saranno accompagnati da una crescente disuguaglianza del reddito, dalla scomparsa della classe media e da una conseguente radicalizzazione della politica. Questo non vuol dire che la democrazia sia necessariamente in pericolo; ma di certo lo sono gli accordi e le istituzioni che vanno al di là dei confini nazionali.
Queste non sono di certo le circostanze ideali per l’integrazione europea, per il coordinamento e la cooperazione internazionale. In questa cornice, l’Europa non crollerà in modo spettacolare, ma finirà per sbriciolarsi lungo i confini e per erodersi dall’interno.
Non ho idea se tra quindici anni ci saranno ancora i giornali, le riviste d’informazione o gli editorialisti. Permettetemi però una previsione finale: la crisi, insieme al suo impatto sociale ed economico, sarà ancora qui.
Pubblicato sullo Spiegel Online l’1 febbraio 2016. Traduzione di Stefano Solaro per Voci dall’Estero.