Devo tanto a Lucia Annunziata. Le devo tanto professionalmente e personalmente. Mi ha insegnato molte cose su questo fantastico mestiere, e anche su come affrontare la vita. Però questa volta proprio non sono d’accordo con lei, con la sua analisi su Matteo Renzi e l’Unione europea.
Annunziata scrive che “… alla fine lo scontro si può ridurre a una sola grande questione: il doppio standard che in Europa è ormai invalso per diversi paesi e con articolazioni diverse”, e cita i casi della Germania che prima sembra litigare con la Russia e poi si fa un accordo per un oleodotto tutto per sé, o quello del Regno Unito che impone una trattativa sulle sue regole per stare nell’Ue. Storicamente ci sono delle verità nel “doppiopesismo”. Per decenni l’Italia è stata un partner solido ma remissivo dell’Unione, ha dato tanto ottenendo poco, e screditando così la sua immagine di negoziatore ed il suo peso reale al tavolo di Bruxelles. Poi ci sono stati gli anni di Silvio Berlusconi (che in gran parte ho raccontato proprio lavorando con Lucia come direttore e poi ‘semplice’ fondatore della mia agenzia di stampa), che sono stati un vero disastro di incomprensioni, di semplice non comunicazione, di indifferenza, inframezzati da quattro anni di serio, a tratti decisivo, ma troppo breve europeismo guidati da Romano Prodi. Sappiamo tutti come finì nel 2011, con il berlusconismo oramai consumato e i partner europei che hanno fatto di tutto per liberarsi di quel peso.
Da lì è iniziata una storia diversa. Mario Monti ed Enrico Letta hanno provato a ricucire i rapporti, sia per via diplomatica sia sostanziale. Hanno iniziato a ricostruire una credibilità dell’Italia. Anche i loro governi sono durati poco, ma sono stati uno scossone, hanno iniziato ad imprimere una svolta. Non sto qui a giudicare le scelte nel dettaglio, ma si è iniziato, in quegli anni, a porre le basi per un ruolo diverso dell’Italia sulla scena europea. E, va tenuto presente, questo non lo voleva solo l’Italia, ma anche i partner europei, che non potevano più tollerare che uno dei paesi più grandi e ricchi dell’Unione, un fondatore, la terza economia dell’euro, fosse diventato un peso inutile, improduttivo nel processo europeo, che fuggiva alle proprie responsabilità, e dunque anche dannoso.
Poi, come un turbine è arrivato Matteo Renzi, che è riuscito a concretizzare molte delle cose che i suoi predecessori avrebbero voluto fare (probabilmente) ma non erano riusciti. Anche qui mi astengo dal giudizio sui contenuti, ma Renzi ha fatto, è innegabile, molte riforme che da Bruxelles chiedevano “per la competitività”, per dare strumenti di rilancio e crescita all’Italia. Alla Commissione europea e in molte cancellerie questo viene riconosciuto. Ampiamente. Tanto che il “doppiopesismo” che denuncia Annunziata è difficile da vedere, stando qui, e cercando di avere l’approccio più equanime possibile.
Lo abbiamo già scritto, a differenza della commissione di José Manuel Barroso che parlava di crescita ma le tagliava le gambe imponendo l’austerità e la stupidità degli “zero virgola” che oggi Renzi denuncia come fossero cose di questi giorni, l’esecutivo di Jean-Claude Juncker parla di conti in regola (e fa bene a farlo) ma nella sostanza sta facendo tutto il possibile per dare una mano a Paesi, come l’Italia, che hanno bisogno di un robusto sostegno per riparare i danni del passato. E’ vero, contro la Germania che ha un surplus commerciale eccessivo che di fatto danneggia i partner si sta facendo poco (anche se alcuni atti sono stati compiuti, invero), ma in un’Europa che fatica a rialzarsi picchiare su chi riesce a creare ricchezza è obiettivamente difficile. E’ però anche vero, come ha spiegato ieri il commissario agli Affari economici Pierre Moscovici, che l’Italia “è il Paese che beneficia maggiormente di flessibilità sugli investimenti e le riforme strutturali”. E questo non vuol dire che non se ne possano avere altre, sembra annunciare il commissario, quando precisa che “abbiamo un dialogo aperto con le autorità italiane sulle nuove richieste di tener conto le spese sostenute per la crisi dei rifugiati e la lotta contro il terrorismo”, sulle quali “la Commissione prenderà le sue decisioni a maggio”.
Annunziata prende invece ad esempio le parole del capogruppo popolare al Parlamento Europeo Manfred Weber, un rigido bavarese che è “semplicemente” un membro del Parlamento, che su questi temi può esprimere tutte le posizioni politiche che vuole, ma non è lui a prendere le decisioni. Piuttosto vanno rilette parole di Moscovici citate sopra, dette proprio in risposta a Weber ieri a Strasburgo, alle quali il commissario aggiungeva: “Concentriamoci su questo (sul dialogo aperto, ndr). Io credo che tra Italia e Europa lo scontro sia inutile. Dobbiamo cercare i compromessi lì dove sono possibili, e questo è quello che farò”.
Nessun “doppiopesismo” dunque, ma un approccio politico alle questioni che cerca di tenere in considerazioni le esigenze di ciascuno all’interno di un progetto più generale.
Anche sull’immigrazione l’attacco a Bruxelles intesa come Commissione europea è sbagliato. Quel che poteva fare la Commissione l’ha fatto: ha lanciato un piano per il ricollocamento, sta tentando di dare all’Unione una normativa nuova sulla materia, sta rivedendo, come Roma chiede, gli accordi di Dublino sul diritto d’asilo. Sono gli Stati quelli che non seguono, che lasciano il cerino in mano all’Italia (e alla Grecia, e alla Croazia e gli altri più esposti). E’ a quel livello che si deve lavorare, che il governo deve dimostrare la sua forza politica e diplomatica.
Non dirò, come dicono tanti e Annunziata stigmatizza che “in Europa non si fa così”, ” litigando non si ottiene nulla”. Ma dico che questi attacchi virulenti non servono a niente, se non a esacerbare gli animi. Hanno forse una grande valenza interna, servono a distogliere l’attenzione da altro forse. Servono a creare un consenso in vista delle prossime elezioni locali. Servono forse anche a creare una erosione dei temi elettorali di altre forze politiche in vista di prossime e più importanti scadenze elettorali. Ma non servono per rafforzare il ruolo dell’Italia a Bruxelles. Come diceva qualcuno pur riferendosi a tutt’altro: qui i voti non si contano, si pesano.