E’ l’immigrazione la “bestia nera” d’Europa. Non solo quella che porta fiumi di persone dalla Siria o dal Nord Africa, ma anche quella dei cittadini europei che si spostano da uno Stato all’altro per cercare condizioni di vita migliori.
Mentre i governi del Sud e dell’Est dell’Unione cercano solidarietà per fronteggiare i massicci arrivi per terra e per mare, anche in Gran Bretagna, dove si arriva più spesso in aereo, la battaglia contro “lo straniero” (anche se cittadino dell’Ue) sembra far premio su tutto. Lo dimostra l’entusiasmo con il quale David Cameron ha accolto la proposta, non rivoluzionaria, fatta dal presidente del Consiglio europeo Donald Tusk in risposta alle rivendicazioni britanniche per evitare un abbandono dell’Unione da parte di Londra. Non rivoluzionaria ma con un punto forte: il freno all’immigrazione “interna”.
Dei quattro “basket” (i quattro temi posti da Cameron) l’unico sul quale a Bruxelles si è disposti a cedere davvero qualcosa è proprio quello sulla regolazione dalla concessione dei benefici sociali per i cittadini Ue che decidono di stabilirsi nell’Isola. Londra (ma come lei ogni altro governo dell’Unione) potrà, secondo la proposta resa nota da Tusk, bloccare fino a quattro anni i benefici del welfare state agli stranieri comunitari in casi “eccezionali”. Se cioè saranno in troppi a domandarli, se troppi tutti insieme, se la situazione del mercato del lavoro locale non potrà garantire l’assorbimento di nuovi lavoratori, il governo potrà chiedere all’Unione di sospendere l’erogazione degli aiuti per i primi quattro anni di residenza. La procedura prevede il parere della Commissione europea, prima del voto del Consiglio, e gli uomini di Jean-Claude Juncker hanno già fatto sapere che sì, se Londra avanzerà la richiesta troverà l’appoggio della Commissione. Ora è necessario qualche passaggio formale, ma l’aria sembra positiva, sembra (sembra), che i governi dei Ventotto siano d’accordo, lo si vedrà entro la fine della settimana, quando si riuniranno gli sherpa per discutere il documento di Tusk.
Cameron ha letto le proposte di Tusk e si è sbilanciato parecchio: “Se non fossi già dentro l’Unione, a queste condizioni deciderei di entrare”, ha detto questo pomeriggio. Tutto il chiasso, il movimento politico, sulla Brexit si è ridotto a questo, visto che sugli altri tre temi posti sul tavolo (competitività, sovranità e regole dei rapporti tra paesi euro e non euro) Londra, in sostanza, non ha ottenuto nulla. La lettera di Tusk non fa altro che dare un “chiarimento” sulle procedure esistenti, ma cambiamenti non ce ne sono, anche perché per alcuni temi, come quello della sussidiarietà (chiamata in questo caso sovranità, per sfoggio politico) sono regolati dai Trattati Ue, e non è che possono essere cambiati facilmente. Tanto che anche Tusk scrive che “alla prossima revisione dei Trattati” che capiterà potranno inserirsi “alcune delle cose” che saranno stabilite in questo accordo.
Il premier britannico sa, e probabilmente ha sempre saputo, che non poteva ottenere molto da questo negoziato, e dunque si è concentrato sostanzialmente su un solo tema, quello più chiaro e caro ai suoi concittadini, quello sul quale più facilmente può fare campagna referendaria per il “No” all’abbandono dell’Ue. Forse si è fatto tanto rumore per nulla, per regolare qualcosa che non necessitava, evidentemente, la messa in discussione dei fondamenti dell’Unione europea (che lo stesso Tusk ha detto essere intangibili) tanto che i Trattati, per ora almeno, restano quel che sono, e da Londra non si potrà metter bocca sulle decisioni che i Paesi dell’euro prenderanno sulla loro moneta. Resta anche lo stesso il meccanismo di blocco che una maggioranza dei Parlamenti nazionali hanno sulla legislazione dell’Unione, già ampiamente regolato dagli articoli del Trattato Ue.
La regola sui migranti interni ottenuta da Londra, ovviamente, varrà anche per tutti gli altri Stati membri, anche se, evidentemente, il welfare britannico non è comparabile con quello bulgaro o anche italiano. Questo vuol dire che la regola probabilmente sarà ben accetta da tutti, in particolare da chi, come i francesi o i belgi, ha un buono stato sociale. Dunque da Bruxelles si è, anche qui probabilmente, impedita l’apertura di quel vaso di Pandora di rivendicazioni nazionali che sarebbe stata inevitabile se per Londra ci fossero state concessioni particolari sul ruolo nel Mercato interno, o nella gestione della moneta unica.
Quel che si è concesso a Cameron (e a tutti gli altri, beninteso) non mette in discussione le fondamenta dell’Unione, lui non ha ottenuto molto, e se l’Ue ha perduto di certo qualcosa in termini di libera circolazione lo ha fatto sancendo che il principio ed il diritto di libero stabilimento restano vivi, ma che di fronte a situazioni “eccezionali”, che dovranno essere riconosciute dai capi di Stato e di governo volta per volta, collegialmente, possono essere poste delle limitazioni temporali. Se l’accordo sarà questo l’Unione non scricchiola, ma ha dimostrato di essere utile e di saper affrontare le preoccupazioni anche di chi ha più dubbi sulle ragioni dello stare insieme.