Roma – Con il sì definitivo del Senato il decreto salva Ilva è diventato legge. Il provvedimento prevede la privatizzazione dell’acciaieria sulla quale pendono due procedure di infrazione di cui la prima è stata avviata nel 2013 per l’eccessivo inquinamento prodotto dallo stabilimento di Taranto. La settimana scorsa è stata anche aperta un’indagine che riguarda invece il sostegno pubblico garantito all’azienda, un totale di 2 miliardi di euro che, secondo la Commissione europea, potrebbero configurarsi come aiuti di Stato in violazione della normativa europea sulla concorrenza.
Secondo il governo, quest’ultima indagine avviata “è un atto dovuto”. Lo ha dichiarato ieri il sottosegretario agli Affari europei, Sandro Gozi, secondo il quale si tratta della conseguenza di diverse segnalazioni fatte alla Commissione “sia da concorrenti dell’Ilva, sia da associazioni del settore della siderurgia”. Quella “lobby europea dell’acciaio” contro cui si è scagliato il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nel corso dell’ultima Direzione nazionale del Pd.
Gozi garantisce che entro un mese l’esecutivo fornirà a Bruxelles “tutta l’informativa necessaria per provare che non c’è violazione della normativa per la siderurgia”. La tesi che verrà difesa è che i soldi pubblici sono stati utilizzati per garantire operazioni di bonifica ambientale e di messa a norma degli impianti. Interventi volti a garantire un minore impatto ambientale e di conseguenza risolvere il contenzioso aperto nel 2013.
Sempre ieri, lo stesso Gozi aveva riferito di un accordo tra l’esecutivo nazionale e quello comunitario, in base al quale “l’Italia può proseguire i lavori per tutte le misure che riguardano le bonifiche ambientali e la tutela della salute pubblica”. Già al momento dell’avvio della procedura sugli aiuti di Stato, il commissario alla Concorrenza, Margrethe Vestager, aveva riconosciuto che il nostro Paese “può sostenere il risanamento della grave situazione ambientale nel sito di Taranto”. Anzi, è ancora Gozi ad aver riportato le sollecitazioni di Bruxelle a “farlo celermente”. Tuttavia, per disinnescare anche la seconda procedura di infrazione, aveva precisato Vestager, è necessario che “la spesa sostenuta sia poi rimborsata da chi ha inquinato”.
Su quest’ultimo aspetto è previsto che i fondi sequestrati alla famiglia Riva, precedente proprietaria dell’Ilva, vengano utilizzati in parte per rimborsare gli aiuti concessi dallo Stato sotto forma di prestiti e di garanzie, e in parte per gli ulteriori interventi di messa a norma necessari. Inoltre, chi acquisterà l’acciaieria avrà l’obbligo di restituire, entro 60 giorni e con gli interessi, l’ultimo prestito ponte da 300 milioni di euro previsto del decreto appena convertito in legge.
Rimane però un elemento di incertezza legato proprio ai soldi sequestrati ai Riva. Il processo nell’ambito del quale è stato stabilito il sequestro, infatti, è ancora in corso. Fin quando non arriverà a conclusione, dunque, non è garantito che quei fondi rimangano a disposizione per le finalità previste dal governo.
Nel frattempo la gestione della vicenda è oggetto di critiche da parte dei lavoratori dell’Ilva, preoccupati delle loro sorti. Quelli dello stabilimento di Genova Cornigliano sono al terzo giorno di sciopero, e stamane si è sfiorato lo scontro con le forze dell’ordine. Il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini, ritiene che “senza un intervento pubblico, magari attraverso la Cassa depositi e prestiti, l’Ilva non la risaneremo mai, perché in Italia non c’è un solo imprenditore in grado di investire 4 miliardi su quella azienda”. Anche la sua collega della Cgil, Susanna Camusso, conferma che “un intervento di Cassa depositi e prestiti sarebbe una scelta significativa”, ma dice di non riuscire a “capire quale sia l’idea complessiva del Governo”.