Berlino – Offrire un posto dignitoso, stabilire una convivenza, spingere per il processo di integrazione: questi gli obiettivi del progetto Refugees Welcome, partito in Germania nel 2014 da un’idea di Mareike Geiling e Jonas Kakoschke, i quali, partiti per l’Egitto, hanno pensato di affittare la loro stanza a un rifugiato. Come funziona il sistema lo spiega una rappresentante del team berlinese dell’organizzazione, Sophie Mirow, che Eunews ha incontrato a Kreuzberg, un quartiere della Capitale tedesca molto amato dai giovani.
“Il concetto è semplice: l’host (anfitrione, ndr) si registra e, in base agli interessi comuni, l’età e la personalità, gli viene assegnato un rifugiato. Dopo un incontro e l’eventuale conferma della disponibilità a ospitare, entro pochi giorni avviene il trasferimento del rifugiato dal campo d’acoglienza alla casa”, dice Sophie. Proprio come il famoso servizio Easystanza, solo che in questo caso il pagamento avviene grazie a delle microdonazioni o al sostegno del governo.
È una giornata fredda a Berlino, ha nevicato tutta la notte e il vento spazza la neve ai bordi delle strade. Con Sophie ci rifugiamo al Salon Schmück, un locale come tanti altri, e davanti a un caffè caldo, la ragazza ci racconta la storia del progetto. Nei suoi occhi l’emozione di chi sente che si sta impegnando in qualcosa che è motivo di orgoglio, non solo per lei ma per tutta la nuova generazione tedesca.
Il nostro incontro avviene in un periodo particolare: la Gemania ha annunciato che la sospensione di Schengen durerà ancora a tempo indeterminato e il Berlin MorgenPost scrive che i rifugiati continueranno a vivere nei centri sportivi. Berlino non è certo una città accogliente, d’inverno. Le temperature polari e l’assenza di sole non rendono la vita facile. Anche l’aeroporto di Tempelhof è stato trasformato in un centro di accoglienza. Gli hangar, pieni di tende e separè, sono la casa di circa mille rifugiati siriani. L’ironia della storia: da aeroporto del Reich a campo profughi.
“Molti rifugiati non hanno scelta – afferma Sophie – se non quella di stare in campi di accoglienza, inclusi i centri sportivi. Ogni posto è differente, anche se non è sbagliato dire che la situazione è difficile a causa del sovraffollamento, della mancanza di privacy e della difficoltà di integrarsi nella società”, continua. L’obiettivo è quello dell’integrazione, perché è da qui che parte la convivenza e l’ospitalità in primis.
Parlando con Sophie del rapporto di Medici Senza Frontiere sullo stato dei rifugiati in Europa, emerge l’idea madre di Refugees Welcome. “Crediamo che l’Europa abbia avuto numerosi limiti nell’accogliere i rifugiati e nel portare avanti un progetto comune in maniera rispettabile. Noi, come organizzazione, abbiamo due punti cardine: offrire un’alternativa all’asilo basato su centri di ospitalità di massa e mostrare al governo, e all’opinione pubblica, che c’è una via differente, dignitosa”, sottolinea perentoria.
Nonostante le parole di Sophie forniscano un volto della Germania nettamente differente dall’immagine di Pegida o delle manifestazioni di neonazisti, il clima sembra ancora offrire una rappresentazione ambivalente. I fatti di Colonia hanno scosso profondamente l’opinione pubblica tedesca e, sempre secondo l’attivista, i media hanno spesso messo in atto una politica di stigmatizzazione dei rifugiati. Hanno usato una narrazione a tratti “apertamente razzista, usando come scudo la retorica femminista”, raccontala ragazza.
Tuttavia la Germania, con circa un milione di rifugiati, sta facendo uno sforzo economico e sociale enorme. Grazie a fondi governativi e alla solidarietà dei cittadini, sta offrendo un ottimo servizio alla comunità dei rifugiati che scappano dalla guerra con la speranza di una nuova vita. Refugees Welcome è sicuramente uno dei progetti più interessanti da questo punto di vista. e anche se i numeri sono ancora irrisori, cresce di giorno in giorno. Fino ad ora circa 250 persone hanno visto aprirsi le porte di una casa. Il progetto è in fermento e si è esteso negli ultimi mesi in Spagna, Italia, Polonia, Austria, Portogallo, Grecia e Svezia, con la speranza di portare a compimento il progetto di un’accoglienza “porta a porta”.