Strasburgo – Obiettivo delle critiche italiane non è tanto la Commissione Juncker, ma lo sono principalmente altri governi dell’Ue, che ostacolano le politiche comuni. Patrizia Toia, capo della delegazione Pd al Parlamento europeo, precisa il tiro delle polemiche degli ultimi giorni tra Italia e Bruxelles in questa intervista concessa a Eunews. “Non ridurre la politica a Bruxelles a una gara fra Stati a chi occupa più poltrone di prestigio”, ammonisce poi l’ex ministro, che rivendica come una vittoria italiana e degli eurodeputati la prossima revisione delle regole di Dublino sull’asilo. E sul Pse “abbiamo già la leadership”.
Eunews. Lei appartiene allo stesso partito del presidente del Consiglio, quali sono le vostre principali ragioni di critica all’operato della Commissione, o dell’Unione nel suo insieme?
Toia. Innanzitutto le critiche del Governo italiano e nostre sono rivolte all’Unione europea nel suo insieme, non tanto o non solo alla Commissione europea. Infatti Renzi ha sollevato i problemi innanzitutto nei Consigli europei, rivolgendosi agli altri governi dell’Ue, che ad oggi sono il principale ostacolo alla realizzazione delle politiche comuni di cui abbiamo bisogno. Basti ricordare i toni accesi delle discussioni sull’immigrazione al Consiglio di giugno dell’anno scorso o anche a quello di dicembre. Le ragioni principali delle critiche sono dovute al fatto il processo di cambiamento dell’Europa per cui gli elettori ci hanno votato, che abbiamo chiesto alla Commissione Juncker e che era stato ben avviato a inizio mandato con flessibilità, piano di investimenti e Agenda sulle Migrazioni, oggi sembra essersi arenato nelle secche degli egoismi nazionali e va rilanciato.
E. I toni della polemica tra Renzi e Juncker sono stati particolarmente accesi, una rarità nel misurato costume dell’Unione. Come mai, secondo lei, si è arrivati a superare il limite, anche se ieri Juncker è sembrato voler gettare un po’ di acqua sul fuoco?
T. Bisogna considerare che sia Renzi che Juncker sono due personalità poco inclini ai barocchismi del linguaggio diplomatico europeo ma, come ha riconosciuto anche il presidente della Commissione, non c’è niente di personale nelle polemiche di questi giorni. L’Italia ha posto delle questioni di merito e il Governo ha giustamente scelto di farlo apertamente e ad alta voce, invece che nella discrezione dei contatti tra funzionari, perché si tratta critiche politiche che non riguardano solo l’Italia ma tutta l’Europa.
E. In questo giornale abbiamo scritto che la Commissione è un obiettivo sbagliato delle rivendicazioni italiane, perché in realtà Juncker e i suoi hanno fatto molti sforzi per sostenere l’impegno italiano per le riforme e la crescita, ed hanno sostenuto un confronto pesante con alcuni influenti Stati membri, come la Germania. Non sono forse proprio alcuni governi a porre i maggiori ostacoli, più che la Commissione?
T. Certamente. Come ho già detto oggi l’ostacolo principale alla realizzazione dell’Europa che vogliamo è la mancanza di visione di molti governi. Ma è normale che le proposte e le richieste italiane abbiano come obiettivo anche la Commissione, perché oggi è l’esecutivo europeo che media, difende e sintetizza gli interessi dei differenti Paesi, anche perché diamo molta importanza al compito della Commissione che è il vero soggetto comunitario. Quindi vogliamo che ci sia un equilibrio nel peso dei differenti Stati membri e ciò si deve riflettere nelle decisioni e nelle iniziative della Commissione che, quando è il caso, vanno criticate puntualmente e nel merito. Il caso Nord Stream è un esempio.
E. Nei giorni scorsi è circolata informalmente, ma anche da autorevoli fonti interne alla Commissione, la proposta di nominare Stefano Sannino direttore generale per l’Immigrazione. Ad ora sembra che l’Italia non consideri questa un’opportunità. Lei cosa ne pensa, potrebbe essere un buon “indennizzo” dopo il forzato allontanamento di Carlo Zadra dal gabinetto di Juncker?
T. Non commento decisioni e proposte che riguardano singole persone. Tengo a precisare, e non è una frase di prammatica, che il nostro ambasciatore a Bruxelles Stefano Sannino è una persona di alto livello, unanimemente stimato in Italia come in Europa. Sulla presenza dei funzionari italiani nella Commissione è vero che la nazionalità ha un peso, ma bisogna fare attenzione a non ridurre la politica a Bruxelles a una gara fra Stati a chi occupa più poltrone di prestigio. Quello che conta sono gli obiettivi politici degli incarichi in questione, a prescindere dalla nazionalità. Quando l’Italia ha rivendicato l’incarico di Alto rappresentante per la politica estera per Federica Mogherini, ad esempio, lo ha fatto con l’obiettivo di promuovere un tipo di politica estera più comunitaria e più attenta all’area mediterranea e mediorientale nella convinzione che questo vada a beneficio di tutta l’Europa e anche, ovviamente, dell’Italia. L’accordo con l’Iran ha dimostrato che avevamo ragione.
E. La Commissione europea si prepara ad avanzare una proposta di riforma del regolamento di Dublino. Se davvero, come vogliono le indiscrezioni, intende proporre di suddividere in modo più equo l’onere dell’accoglienza tra gli Stati, si tratterà di una vittoria dell’Italia e di Renzi?
T. Certamente. Renzi, e noi eurodeputati Pd, sosteniamo da tempo che i problemi della politica europea sull’immigrazione nascono dalle distorsioni del regolamento di Dublino che scaricano sui Paesi di primo approdo tutto l’onere dell’accoglienza. Chi sbarca in Italia lo fa perché vuole raggiungere l’Europa, non solo l’Italia. Un anno fa eravamo i soli a dirlo. Poi con gli accordi sulla redistribuzione dei richiedenti asilo, chiesti e ottenuti dall’Italia, abbiamo superato nei fatti il principio di Dublino, e ora dobbiamo trarre le logiche conseguenze a arrivare ad un sistema coerente e efficace.
E. Renzi guida il partito il cui gruppo parlamentare a Strasburgo è il più grande non solo nel Pse, ma anche in assoluto (Cdu e Csu hanno più deputati, ma si tratta di una coalizione di due partiti) e che lei presiede. Il premier però sembra poco intenzionato ad avere un ruolo di guida tra i socialisti europei, che pure potrebbe avere, apparentemente. Non le sembra che così il Pd perda un’occasione?
T. Il Partito Democratico oggi guida con Gianni Pittella il Gruppo dei Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, quindi abbiamo già la leadership dei socialisti europei e questo si riflette nel lavoro a Strasburgo e nelle politiche dell’Unione europea, basti pensare al piano di investimenti Juncker, che abbiamo ottenuto e che poi abbiamo emendato nei regolamenti per renderlo più attento alla crescita, all’occupazione e ai territori. Renzi, e anche noi, chiediamo che anche il Pse, fuori dal Parlamento europeo, diventi un vero partito, più compatto, più promotore di iniziative e laboratorio di linee politiche e più capace di fare la differenza nei luoghi decisionali delle politica europea, come nei summit. Un rinnovato e rinvigorito partito socialista europeo dovrà essere più aperto alle tutte le tradizioni dei movimenti progressisti in Europa, allargando il suo campo di azione politica.