Bruxelles – Matteo Renzi non si preoccupa di “un infortunio verbale” del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, ma si preoccupa “se sbaglia le politiche”. Angela Merker è “la prima interessata ad avere un’Italia forte”. E, ammette il premier, in Europa “ l’Italia ha investito meno del dovuto nella creazione di una tecnostruttura in grado di essere squadra”. Sono alcuni passaggi di una lunga intervista concessa dal presidente del Consiglio al direttore de Il sole 24 Ore, Roberto Napoletano.
Sole. L’attacco che il presidente della Commissione Juncker ha rivolto all’Italia alcuni giorni fa è inusuale e inaccettabile. Ma al di là dell’attacco, non la preoccupa che nessun capo di governo d’Europa abbia espresso solidarietà all’Italia sottolineando questa incongruenza? Non c’è il rischio concreto di un isolamento?
Renzi. Credo che Jean-Claude abbia sbagliato linguaggio nel metodo e sostanza nel merito. Ma non mi preoccupa certo un infortunio verbale del presidente della Commissione: siamo l’Italia, uno dei Paesi fondatori. E il mio partito è il partito più votato in Europa, con oltre undici milioni di voti. Se Juncker è lì, è grazie anche ai voti del Pd e del Pse. Non sono permaloso. Se Juncker sbaglia una conferenza stampa, pace. Se Juncker sbaglia politiche, allora sì che mi preoccupo.
Sole. Che cosa dirà alla Merkel quando la incontrerà?
Renzi. Che la prima a essere interessata ad avere un’Italia forte e una Germania meno egoista si chiama Angela Merkel. La stimo e farò di tutto per darle una mano. Ma le regole devono valere per tutti, nessuno esclusa. Anche per la Germania, insomma.
Sole. Quando da Bruxelles si denuncia che a Roma manca un interlocutore, si sottolinea quello che è un problema più volte evidenziato in questi anni: la debolezza italiana rispetto ad altri Paesi nel lavorare con la dovuta costanza, serietà, determinazione sui dossier più delicati. Non crede che sia un problema vero?
Renzi. Con una battuta potrei dire che di interlocutori ce ne sono fin troppi. Ma riconosco che un punto di verità c’è: l’Italia ha investito meno del dovuto nella creazione di una tecnostruttura in grado di essere squadra. Abbiamo funzionari e tecnici tra i più brillanti: talvolta non si sentono parte della stessa comunità. La dico in un altro modo: una squadra con diversi fuoriclasse che non si passano la palla e litigano nello spogliatoio non vince lo scudetto. La nomina di Carlo Calenda e la professionalità di tante donne e uomini della diplomazia, della carriera europea, della pubblica amministrazione in Italia consentiranno di lavorare meglio in questa direzione.
Leggi il resto dell’intervista su Il Sole 24 Ore