Roma – Si abbassano i toni tra Jean Claude Juncker e Matteo Renzi, ma la tensione tra Roma e Bruxelles rimane. Se oggi il presidente della Commissione europea ha gettato acqua sul fuoco che aveva acceso nella conferenza stampa di inizio anno, il presidente del Consiglio non arretra dalle proprie posizioni. “L’europa è la più grande occasione se smette finalmente di parlare di austerity e prova a imboccare la strada della crescita”. Non è un attacco personale, ma la sostanza della contesa rimane in piedi: l’Italia non vuole rinunciare alla flessibilità richiesta con la Legge di stabilità.
Non è un caso che il premier abbia pronunciato queste parole dall’Aula del Senato, dove si è recato a chiedere l’ultimo sì di Palazzo Madama sulla riforma costituzionale. Il valore simbolico è elevato: mentre chiede all’Europa di abbandonare l’austerità, il presidente del Consiglio si trova nel luogo oggetto della più importante modifica contenuta nella “madre di tutte le riforme”. L’immagine è quella di chi chiede all’Ue di cambiare rotta mentre dimostra di portare avanti l’impegno riformatore richiesto da Bruxelles, anche con la riforma della Pubblica amministrazione che vedrà nel Consiglio dei ministri di questa sera l’emanazione dei primi decreti attuativi.
Il voto del Senato, in verità, non è l’ultimo passaggio. La riforma della Costituzione dovrà avere un altro sì a Montecitorio, tra tre mesi, e poi passare per il giudizio del referendum confermativo prima di entrare in vigore se vincerà il sì. Ma per sottolineare anche ai partner europei quanto consideri vincolante l’impegno per le riforme, Renzi conferma che quel referendum deciderà delle sue sorti: “Se perdessi considererei conclusa la mia esperienza politica”. Le prossime settimane diranno se questo impegno sarà sufficiente a garantire un ammorbidimento della Commissione sul giudizio pendente sulla Legge di stabilità.