Bruxelles – In Italia serve uno sforzo culturale per avvicinare il Paese ai vantaggi offerti dalle nuove tecnologie digitali, che si inserisca nel lavoro che la Commissione europea ha lanciato (anche per rimediare a suoi pesanti errori del passato) di avvio di una profonda ma rapida riflessione sul Mercato unico digitale. Sono i due pilastri del ragionamento che Fabio Colasanti, ex direttore generale della Commissione europea e oggi presidente dell’International Institute of Communications di Londra, ha svolto parlando con Eunews martedì 19 gennaio, proprio nel giorno nel quale l’Europarlamento ha votato la sua risoluzione sul Digital Single Market.
“L’Italia -spiega Colasanti – vive un declino economico pauroso, reddito e produttività non crescono, e uno dei motivi, dei tanti motivi ma particolarmente importante, è che le tecnologie digitali vengono utilizzate poco e male”. Anche a Bruxelles c’è un esempio di questo approccio zoppicante: al Consolato per rinnovare il passaporto l’appuntamento si può prendere solo on line, e poi il documento viene rilasciato nel giro di pochi minuti. Tutto molto efficiente? No, perché poi si deve pagare e lo si può fare solo in contanti, ad una persona fisica, che rilascia una ricevuta timbrata e firmata. Un improvviso salto nel passato, che di fatto blocca buona parte del processo di innovazione. “Questo è un classico esempio di come funziona la Pubblica Amministrazione – commenta Colasanti – questa procedura serve solo a giustificare una inutile posizione di lavoro”.
Eunews. Dunque le tecnologie digitali dovrebbero essere maggiormente sviluppate, ma esiste in Italia una base sulla quale appoggiare quella che ancora, per molti versi, sarebbe una rivoluzione?
Colasanti. “Abbiamo un ritardo grave nel settore dell’istruzione, simo uno dei Paesi dell’Ue con le percentuali più alte di cittadini che non utilizzano internet. Ma soprattutto abbiamo quasi un rigetto culturale, viviamo nel passato, le cose nuove ci attraggono poco, e questa non è un’opinione, ma un dato preciso che viene da molte indagini, anche dall’Innovation scoreboard della Commissione. E’ necessario dunque prima di tutto promuovere uno sforzo culturale per l’innovazione e le tecnologie digitali”.
E. Ma dal punto di vista delle infrastrutture come siamo messi?
C. “Abbiamo un grande ritardo. La banda larga c’è quasi dappertutto, ma siamo ultimi in Europa sulla disponibilità di collegamenti di nuova generazione con velocità superiore a 30 megabit al secondo. Tutto questo sta provocando in Italia un dibattito che non va da nessuna parte su come costruire una nuova rete in fibra, e il governo, per bocca del sottosegretario Giacomelli, promette una rete in fibra pubblica, che è una cosa che considero inutilmente ambiziosa e poco realistica. Non dovrebbe essere lo Stato a finanziare queste cose, all’estero sono le società che lo fanno. Il problema centrale, che è a monte e dal quale non si può prescindere, è che manca la domanda di cittadini e Piccole e medie imprese, che non usano internet”.
E. C’è forse anche un problema di regole, che non favoriscono questo sviluppo?
C. “Ma le regole sono le stesse in tutta Europa! Però in Italia se le aziende portano un collegamento anche modernissimo e velocissimo non trovano chi poi sottoscriva i contratti. Bisogna creare la domanda ed è il pubblico che deve farlo, per sostenere uno sviluppo che non può che portare buoni frutti. In Corea ad esempio ogni comunicazione scuola-famiglia è fatta on line, e questo spinge le famiglie ad attrezzarsi. Lo sforzo deve arrivare dalla Pubblica Amministrazione, che invece fa molto poco. Ripeto, uno sforzo culturale per presentare le nuove tecnologie in modo positivo. Da noi ancora, per quanto riguarda le normative nazionali, vince l’approccio del ‘controllo giuridico preventivo’ che oramai è superato in tutto il mondo. Non esiste un Wi Fi pubblico senza password, mentre ad esempio negli Usa negli aeroporti e nelle stazioni è sempre di libero accesso. Queste procedure di sicurezza inutili spesso bloccano lo sviluppo di un processo”.
E. In questi giorni al centro dell’attenzione in Europa c’è stata la questione del “geoblocking”, della impossibilità per un abbonato a servizi on line in un Paese di usufruirne anche dall’estero…
C. “Questo è un problema non necessariamente ‘digitale’ e comunque la questione è marginale. Gli ostacoli percepiti vengono da pratiche commerciale più che da norme. Più in generale il “geoblocking” è un aspetto dei difetti di funzionamento che ancora esistono nel mercato unico “tout court”. Direi che le tecnologie digitali stanno svelando questi “bug” del sistema e pongono il problema della loro soluzione. Ma, diciamo la verità, questo è un problema complesso, che per la Commissione non sarà facile risolvere, ma è anche vero che riguarda una parte molto piccola di cittadini: quel 2,5 per cento di europei che vivono in un altro Paese e, in qualche caso, coloro che viaggiano. Non è qui il cuore della questione”.
E. Questa Commissione europea, a suo giudizio, come si sta muovendo verso il Mercato Unico Digitale?
C. “cercano di far bene quello che fu fatto in maniera abborracciata dalla Commissione Barroso nel 2013, quando si proposero nuove regole sul roaming – di per se benvenute – ma prima ancora che quelle adottate nel 2012 fossero entrate in vigore. La Commissione ha dato l’impressione che le regole che aveva proposto e che aveva fatto adottare nel 2012 fossero uno scherzo o qualcosa proposto e adottato per errore. Sono state proposte nuove regole prima ancora che quelle che dovevano entrare in vigore nel luglio del 2014 mostrassero la loro validità o meno. Ora si fa quel che si doveva fare due anni fa: si è lanciata un’ampia riflessione su tutto il tema, per favorire gli investimenti e lo sviluppo. Il momento è difficile per il settore, perché in parte è stato vittima del proprio successo, che ha provocato una calo dei costi e dei prezzi, per cui le entrate delle aziende calano benché i servizi offerti ai consumatori siano sempre maggiori. Calano anche i lavoratori del settore. In gran parte tutto questo è inevitabile; è una conseguenza del progresso tecnico. Serve dunque una revisione. È necessario valorizzare i vantaggi del Mercato unico digitale: un maggior utilizzo di queste tecnologie non può che portare ad una crescita della produttività – di cui in Italia abbiamo tanto bisogno – a nuova crescita e occupazione, e anche migliore qualità di vita grazie all’utilità dei tanti nuovi servizi che ci vengono offerti”.