Roma – Il sistema bancario italiano continua a essere tra i più solidi a livello europeo, ma bisogna trovare presto una soluzione al problema dei crediti deteriorati. Il presidente dell’Abi (Associazione banche italiane) Antonio Patuelli chiede che il confronto tra la Commissione europea e il governo italiano sull’istituzione di una ‘bad bank’ – uno strumento che consentirebbe agli istituti di liberarsi dei crediti difficilmente esigibili – si concluda in tempi rapidi.
“Si chiudano in una stanza e vadano avanti finché non trovano una soluzione”, tuona il rappresentante dei banchieri. Serve “una soluzione di qualsiasi genere – prosegue – per dare certezza al mercato e anche a chi sta dentro le banche, perché non sa se cedere o no le quote in portafoglio”. Qualsiasi strada si imbocchi, dunque, secondo Patuelli è “meglio dell’incertezza”.
Il numero uno dell’Abi apprezza “l’insistenza del governo italiano”, che nel confronto con Palazzo Berlaymont si trova a dover superare l’ostacolo della normativa sugli aiuti di Stato. In sostanza obiezioni analoghe a quelle che hanno costretto l’esecutivo a inserire in Legge di stabilità la norma che ha salvato Banca Etruria, Bancha Marche e le Casse di risparmio di Ferrara e di Chieti, facendo per la prima volta ricorso al ‘bail in’, il meccanismo che oltre agli azionisti ha penalizzato anche gli obbligazionisti subordinati degli istituti salvati. L’insistenza va bene, per Patuelli, ma l’importante “è concludere” in fretta.
Che ai banchieri interessi la rapidità della decisione molto di più del tipo di soluzione che sarà individuata lo conferma Luigi Abete, presidente di Bnl e di Febaf (Federazione banche assicurazioni e finanza). Certo, se i banchieri preferiscono una soluzione rapida a una buona soluzione, qualche dubbio sulla effettiva solidità del sistema può sorgere. Non sentendo le parole di Abete, secondo il quale “la nascita o meno della bad bank non cambia nulla dal punto di vista patrimoniale delle banche”. La sua tesi è che sgravare gli istituti dai crediti in sofferenza sia “utile per l’economia”. A suo avviso, ciò permetterebbe una espansione del credito a imprese e famiglie, con la conseguenza di un rilancio degli investimenti e dei consumi.
Abete coglie poi l’occasione per schierarsi con Palazzo Chigi su un altro fronte caldo dei rapporti con Bruxelles: il ricorso alla flessibilità per far quadrare i conti pubblici. “C’è una filosofia del governo che io condivido” e che consiste nel mantenere la soglia del 3% per il rapporto deficit/Pil, spiega, ma dicendo che “voglio più flessibilità perché voglio fare gli investimenti per la crescita”.
Secondo il presidente di Febaf “l’utilizzo di questi strumenti legittimi (le clausole di flessibilità, ndr) viene visto come elemento di preoccupazione da alcuni a Bruxelles”. Preoccupazioni che tuttavia “saranno superate”, secondo Abete, “con il calo del debito” pubblico che, in base alle stime dell’esecutivo, dovrebbe registrarsi a partire dall’anno in corso.