Roma – “Il 2015 è stato un anno fallimentare per le politiche di immigrazione e accoglienza dell’Unione Europea”. È quanto si legge nel rapporto 2015 presentato oggi da Medici senza frontiere (Msf). L’organizzazione non governativa lancia un duro attacco non solo alle istituzioni europee ma anche alla Grecia e all’Italia, che non sono in grado di garantire un’assistenza adeguata ai rifugiati, lasciandoli spesso in situazioni sanitarie precarie e senza nessuna assistenza medica e psicologica.
“C’è bisogno di un’azione comunitaria di accoglienza e dell’apertura di canali umanitari tesi a ridurre il rischio delle traversate del Mediterraneo. Le politiche portate avanti negli ultimi 15 anni hanno solo incentivato il lavoro dei trafficanti di vite umane, aumentando il numero dei morti e dispersi” continua il documento.
L’incertezza dell’Europea nel mettere a punto una chiara e definitiva politica comune sulle migrazioni, sostiene Msf, sembrerebbe dovuta alla paura di un possibile aumento degli arrivi, in base al ragionamento che, creando delle condizioni migliori per i rifugiati, sempre più individui decideranno di intraprendere questa strada. Ma secondo l’organizzazione è sbagliato il presupposto perché la disperazione non guarda in faccia a nulla e dunque questa politica si è resa fallimentare. Tant’è che il numero dei migranti è aumentato nonostante i soldi spesi dall’Ue per scoraggiare i rifugiati in partenza. Non sono bastati neanche i campi profughi finanziati dall’Unione europea in Siria, Libano e Turchia, tantomeno la chiusura della rotta balcanica.
Il report, analizzando minuziosamente ogni particolare dell’emergenza, riporta singoli casi di migranti e mette in luce le criticità del sistema di accoglienza europeo, partendo dalla fuga dal Paese di provenienza, passando per il viaggio, fino a giungere all’arrivo e al ricollocamento.
Circa l’85% del 1.008.616 migranti arrivati in Europa nel 2015 hanno i requisiti per ricevere lo status di rifugiato, sottolinea il report. Di questi, circa la metà proviene dalla Siria e il 20% dall’Afghanistan. Proprio su questo punto si concentra la critica di Msf, secondo cui i casi non possono essere valutati semplicemente sulla base della provenienza geografica. Ogni storia va valutata singolarmente, secondo l’Ong, perché molti di questi individui che fuggono per motivi economici dai propri Paesi di origine vivono situazioni di profondo stress, violenza e disagio psicofisico durante la lunga traversata per arrivare alla ‘Terra promessa’.
Per meglio comprendere la situazione dei richiedenti asilo, infatti, è importante portare lo sguardo sulle varie fasi del viaggio. La Libia, primo punto di raccolta, è un paese profondamente instabile in seguito alla caduta di Gheddafi, con parti di territorio controllate da parte dei miliziani dell’autoproclamato Stato islamico. I migranti, raggruppati nelle città di frontiera, spesso attendono settimane in luoghi che per la nostra civiltà occidentale sarebbero considerati inadatti per qualsiasi tipo di attività, tantomeno la sopravvivenza. Donne, bambini, anziani, di diverse nazionalità, estrazione sociale e fede religiosa a stretto contatto nell’attesa di un viaggio costato migliaia di euro. Dopo giorni di viaggio, vicino alle coste, gli scafisti abbandonano la nave e lasciano i migranti – spesso incapaci non solo di governare una barca in mezzo al mare ma anche di nuotare – soli, nella speranza che le autorità di frontiera raggiungano le barche e le trainino a riva. Il viaggio dura giorni, spesso settimane, e si articola principalmente su due rotte.
La rotta del mediterraneo orientale, intrapresa da 851.319 migranti secondo l’Unhcr, parte dall’Egitto e dalla Libia, attraversando la Turchia e sfruttando dei piccoli gommoni per attraversare il tratto di mare che divide la patria di Erdogan dalla Grecia. Il punto di approdo sono le isole del Dodecaneso, dove spesso la quantità di migranti doppia o tripla quotidianamente quella dei residenti. Da qui parte il lungo cammino per attraversare i Balcani e raggiungere l’Austria, la Germania o la Svezia.
La rotta centro mediterranea, attraversata da 153.600 individui secondo l’UNHCR, porta i migranti dalle coste libiche a quelle italiane. Il viaggio può durare anche una settimana di navigazione e avviene su ‘bagnarole’ dove vengono stipati tra i seicento e i mille individui, con scorte d’acqua che bastano a malapena per la metà degli occupanti, cibo avariato e nessun tipo di dispositivo salvagente.
Per quanto possa essere difficile immaginare la difficoltà di queste traversate, basterebbe pensare che, nel solo 2015, ben 3.771 persone sono morte in mare a causa di disidratazione, malattie contratte lungo il viaggio, ipotermia o annegamento, perché il capovolgimento delle barche è un’eventualità che capita molto più spesso di quanto si possa immaginare. Come se non bastasse, il rapporto di Msf denuncia il comportamento della guardia costiera greca, che spesso, affiancando i gommoni pieni di migranti, ha tentato di speronarli o semplicemente di bucarli con degli arpioni. Sebbene le autorità greche abbiano sempre negato questi casi, non è mai stata aperta una seria indagine indipendente.
L’arrivo, nonostante sia visto come la fine dell’inferno, può essere spesso l’inizio di un nuovo limbo, quello degli Hotspots, nel quale i richiedenti asilo si ritrovano schiacciati tra una lunga burocrazia e delle leggi non troppo chiare e diverse per ogni Stato membro. Il processo di registrazione può consistere anche di 15 passaggi, e frequentemente può capitare di ricevere un foglio di via prima di essere visitati da una delle Ong presenti.
Aprendo un focus sugli Hotspots – sbandierati a dicembre dal commissario per l’immigrazione Avramopoulos come la panacea di tutti i mali – c’è da riconoscere, secondo Msf, che non sempre riescono a svolgere i propri compiti, ma piuttosto diventano luoghi di “detenzione” nell’attesa che i migranti vengano rispediti al mittente. Un caso limite è quello di Pozzallo, dove l’organizzazione internazionale ha deciso di ‘togliere il disturbo’ per la scarsità delle misure igieniche e la non buona collaborazione da parte delle autorità italiane.
Quello che emerge è quindi un ‘annus horribilis’ nel sistema di accoglienza europeo, che sembra virare sempre più dall’obiettivo umanitario a quello securitario. A essere sotto accusa è il regolamento di Dublino sull’asilo. Secondo l’organizzazione umanitaria ha posto le basi per la criminalizzazione dei rifugiati spingendoli sempre più a rivolgersi ai trafficanti. Piuttosto che aprire dei canali umanitari e gettare basi certe per un’assistenza umanitaria, denuncia Msf, si è preferito finanziare i Paesi di provenienza, militarizzare le frontiere ed espellere i migranti, nella speranza che questo diminuisse i flussi. I risultati dicono che questa strategia non ha funzionato. È dunque ora che l’Unione europea prenda una decisione, perché già oggi è tardi e domani lo sarà ancor di più.