Bruxelles – Proteggere a tutti i costi Schengen, riformare Dublino, fare funzionare i ricollocamenti, stabilire una lista di Paesi terzi sicuri, stringere accordi sui rimpatri, ma anche prevedere vie di immigrazione legale e fare di tutto per permettere ai rifugiati di lavorare ed integrarsi nelle società europee. Di quello che si è cercato di fare in questi mesi, non sta funzionando praticamente nulla, ma il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker non si dà per vinto e alla conferenza stampa di inizio anno per fare il punto sul lavoro da fare nei prossimi mesi, traccia in tema di immigrazione un’agenda che più fitta non si può. Buoni propositi destinati a rimanere tali se non ci sarà un drastico cambio di atteggiamento da parte degli Stati: “Da mesi la Commissione fa sforzi per condurre una politica europea coerente e nonostante i tentativi, alcuni Stati membri hanno fallito nel fare quello che dovevano. Ne ho abbastanza di sentire accusare regolarmente la Commissione” quando invece sono le capitali “a non trasporre quello che hanno adottato come colegislatori al Consiglio”. Basti guardare quello che accade sulla redistribuzione dei migranti da Italia e Grecia: “Non è possibile che una proposta della Commissione accettata dal Consiglio e dal Parlamento non sia poi messa in atto”, si spazientisce Juncker, secondo cui se le conseguenze di questo atteggiamento sono pesanti: “Dobbiamo gestire una enorme crisi in termini di credibilità e nel 2016 – assicura – faremo di tutto per contrastare questa crisi”.
Come? “Faremo altre proposte nel corso dell’anno”, proposte su cui “non ci aspettiamo un accordo spontaneo da parte degli Stati”, mette in conto il presidente della Commissione ma “quello che deve essere fatto deve essere fatto e sarà fatto”, assicura. In particolare: “Dobbiamo fare progressi sulla ripartizione dei migranti” e “nel prossimo Consiglio ribadiremo che non si può accettare questa mancanza di progressi”. E poi “dobbiamo ricondurre a casa sua chi non ha il diritto di asilo e per questo bisogna firmare accordi di collaborazione con i Paesi terzi”, aspetto su cui “stiamo lavorando”. Ancora: “Abbiamo bisogno di una lista di Paesi sicuri” in cui i migranti irregolari possono essere rimandati e vogliamo “rinforzare la protezione delle frontiere esterne” facendo approvare la proposta di una guardia frontiera europea presentata a dicembre dalla Commissione. Ma la squadra di Juncker punta a proseguire anche su temi ancora più controversi e annuncia: “Non possiamo chiudere gli occhi di fronte all’esigenza di prevedere un sistema di immigrazione legale in Europa” altrimenti “le persone continueranno ad entrare illegalmente”. Per chi è già riuscito a giungere in Europa, poi, “nei prossimi mesi dobbiamo metterci d’accordo su un principio per fare sì che chi viene da noi temporaneamente abbia la possibilità di esercitare legalmente un lavoro piuttosto che soggiornare senza fare niente sul nostro territorio”, continua l’elenco delle cose da fare Juncker. “Chi passa mesi a fare niente – è convinto – non riuscirà mai ad integrarsi. Abbiamo bisogno di un sistema che aiuti le persone a trovare un lavoro, che non le lasci da parte”. E infine la madre di tutte le discussioni sull’immigrazione: “In primavera proporremo una revisione del sistema di Dublino, perché l’attuale non funziona e serve una ripartizione dell’onere”.
Ma prima di procedere con le nuove proposte occorre salvaguardare quello che già esiste, in particolare il sistema Schengen minacciato dalla chiusura dei confini di sempre più Stati membri. “Senza libertà di circolazione – mette in guardia Juncker – l’euro non ha senso: c’è un rapporto intimo tra la libertà di circolazione da una parte e l’unione economia e monetaria dall’altra. Perché avere una moneta unica se non possiamo viaggiare sul continente?”. Non solo: la fine della libera circolazione “avrebbe conseguenze economiche gravissime per l’economia europea, con un aggravio della disoccupazione”, continua il presidente della Commissione. Insomma “meno Schengen significa anche meno occupazione e meno crescita economica”, senza la libera circolazione “finirebbe anche l’unione economica e monetaria e la disoccupazione aumenterebbe”.