di Enrico Grazzini
L’economia italiana è sotto attacco: e l’offensiva parte direttamente dall’Unione europea e da Berlino. Il governo Renzi si illude sulla ripresa dell’economia italiana e chiede più flessibilità alla UE; ma il vero punto di negoziazione e di contrasto riguarda l’unione bancaria. Almeno così come questa unione è stata concepita e voluta dal ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble, e poi supinamente accettata dai governi dell’eurozona, dalla Commissione UE, dal Parlamento europeo e infine dal Parlamento italiano[1].
Una unione che di fatto è invece una disunione perfetta, perché mancano (per volontà dello stesso Schäuble) un fondo pubblico europeo che garantisca i risparmi dei cittadini europei e la copertura della Banca centrale europea come garante di ultima istanza. Questa unione bancaria invece penalizza il risparmio e i risparmiatori e rischia di affossare le banche nazionali, soprattutto le banche medie e piccole di territorio, a favore delle grandi banche del nord Europa, protette dai soldi dello Stato e in certa parte nazionalizzate.
L’attacco è direttamente al sistema bancario italiano, che rischia di venire soffocato da una montagna di crediti deteriorati pari a poco meno il 20% di tutti gli impieghi. C’è quindi la urgente necessità di una svolta.
A fine giugno 2015 i prestiti deteriorati delle banche italiane ammontavano a 360 miliardi di euro, pari al 18% del totale; all’interno di questo aggregato, le “sofferenze”, quindi i prestiti considerati irrecuperabili, ammontavano a 210 miliardi (10,3% degli impieghi[2]. A causa del gigantesco cumulo di sofferenze bancarie, Wolfgang Münchau sul Financial Times ha scritto che potenzialmente gran parte delle banche italiane sono quasi-insolventi.
Renzi può difendere (o salvare) il sistema bancario italiano solo facendo leva sulla Cassa Depositi e Prestiti. La società finanziaria controllata dal Tesoro e dalle fondazioni bancarie dovrebbe emettere decine di miliardi garantite dal loro valore fiscale e, grazie a queste nuove risorse, promuovere una bad bank che acquisti i 360 miliardi di crediti deteriorati e li rivenda a buon prezzo alle società specializzate nel recupero crediti. In questo modo governo e CDP alleggerirebbero i bilanci bancari; e le banche potrebbero riprendere a finanziare l’economia e lo sviluppo. Purtroppo però la bad bank è contrastata frontalmente dalla UE e da Berlino. Inoltre il governo dovrebbe nazionalizzare un grande istituto di credito, come Monte dei Paschi di Siena, per finanziare subito la ripresa, gli investimenti e l’occupazione.
La nazionalizzazione di una grande banca come MPS è indispensabile per ridare fiato all’economia italiana, soffocata dalla mancanza di credito. Nazionalizzare una banca non è per nulla un atto da “economia sovietica”. In Germania e Francia molti istituti di credito nazionali e locali vedono già la partecipazione azionaria e il controllo dello Stato: in Italia invece lo Stato si è ritirato completamente da tutte le banche lasciando il passo ai capitali internazionali. Il risparmio nazionale rischia di finire completamente in mani straniere. Anche e soprattutto a causa dei vincoli europei. Infatti la Commissione UE contrasta la creazione della bad bank italiana bollandola come aiuto di Stato. Dopo che la Germania ha però già dato 250 miliardi di aiuti pubblici alle sue banche. Due pesi e due misure, come sempre, in questa Unione europea sempre più a guida teutonica.
L’attacco del governo tedesco guidato dalla democristiana Angela Merkel e dal vicepremier socialista Gabriel Sigmar è esplicito. Il suo sogno è di commissariare l’Italia e di sottoporla alle amorevoli cure dell’ESM, il Meccanismo di stabilità europeo, il cosiddetto “fondo salva-Stati” (o forse “affossa-Stati”) europeo. L’Italia dovrebbe fare la fine della Grecia e finire commissariata nelle amorevoli mani della famigerata troika, composta da UE, BCE e FMI. Non è un timore paranoico, ma un progetto concreto. Lo ha annunciato pubblicamente Lars Feld, uno dei più autorevoli consiglieri economici del governo germanico in una recente intervista al Corriere della Sera. Il pretesto per commissariare il nostro paese? Il livello del debito pubblico italiano e soprattutto l’enorme ammontare dei prestiti deteriorati in pancia alle banche.
La politica suicida di austerità imposta da Bruxelles (e accettata supinamente dai governi Monti, Letta e, finora, Renzi) ha colpito assai duramente. Molte aziende e famiglie non sono più in grado di ripagare i prestiti. In questa situazione è difficile uscire dalla crisi bancaria. Se il governo non vuole ripetere su scala nazionale il disastro delle piccole quattro banche regionali, la cui crisi è stata pagata dagli azionisti e dagli obbligazionisti junior, dovrebbe mobilitare immediatamente la CDP, l’istituto semi-pubblico ma formalmente privato. Se la CDP non interviene la situazione rischia di precipitare.
La crisi di fiducia dei risparmiatori potrebbe colpire molte banche italiane. Da quest’anno, infatti, a causa delle norme assurde e ingiuste dell’unione bancaria europea, i risparmiatori (per i depositi oltre i 100mila euro) e tutti gli obbligazionisti saranno chiamati a pagare i dissesti bancari provocati dalla crisi generata dall’austerità europea e, molto spesso, dalla corruzione e dalle malversazioni criminose dei vertici bancari. Il progetto europeo fa a pugni con la Costituzione italiana e potrebbe mettere in ginocchio qualche altra piccola banca, e poi allora infettare tutto il sistema nazionale, generando una crisi generalizzata di fiducia. Le crisi bancarie potrebbero anche far cadere il governo Renzi, o comunque privarlo del sostegno dell’opinione pubblica e dell’elettorato.
Il governo dovrebbe intervenire subito, tramite la Cassa Depositi e Prestiti. Perché la CDP guidata da Claudio Costamagna e da Fabio Gallia (rispettivamente amministratore delegato e presidente, nominati recentemente da Renzi) ha le migliori possibilità di intervento? La risposta è semplice. La CDP è fuori dal perimetro del bilancio pubblico e i suoi debiti non sono debiti di Stato. Formalmente è una società privata e ha, almeno sulla carta, ampia libertà di manovra. Ho già suggerito sopra che cosa dovrebbe fare la CDP. Dovrebbe garantire la bad bank e controllare una grande banca.
La CDP ha però un vincolo oggettivo: non può assolutamente mettere a rischio i soldi dei risparmiatori postali. Ha quindi bisogno di trovare sul mercato nuovi finanziamenti per decine di miliardi, non solo per risollevare il sistema bancario ma gran parte dell’industria strategica nazionale che sta passando in mani estere (vedi i casi di Telecom Italia e dell’Ilva). Come trovare nuove ingenti risorse? Finora la soluzione prospettata da CDP è di puntare alla partnership con il capitale straniero e con i fondi sovrani esteri. Ma esiste anche un’altra soluzione: la CDP potrebbe emettere miliardi di obbligazioni a lungo termine (per esempio 20 anni) garantite dallo Stato. Grazie all’accordo con lo Stato, le obbligazioni CDP potrebbero essere accettate nel medio termine (per es. dopo 3 anni) come sconto fiscale pari al loro valore nominale. I titoli CDP non subirebbero allora oscillazioni e svalutazioni, in quanto pienamente garantiti per pagare le tasse.
C’è un precedente in questo senso. I buoni fruttiferi postali sono garantiti dallo Stato, nel senso che il sottoscrittore li può sempre ritirare quando vuole al loro valore nominale. I BFP sono ultrasicuri e non sono negoziati sul mercato perché hanno un valore certo e fisso. Le obbligazioni CDP garantite per il loro valore fiscale si comporterebbero in maniera analoga: sarebbero sicure per i sottoscrittori e garantirebbero alla CDP una raccolta di grandi risorse a basso costo.
Lo Stato, in cambio della garanzia ad accettare i titoli CDP per il pagamento del fisco, otterrebbe un credito verso la CDP pari al valore delle obbligazioni utilizzate come sconto fiscale, più ovviamente un interesse. Lo Stato non vedrebbe aumentare il proprio debito pubblico e la CDP riuscirebbe finalmente a finanziare nuovi investimenti e ad attuare una efficace politica industriale.
Non si è mai usciti dalle crisi senza politiche di deciso intervento pubblico. Governo e forze politiche dovrebbero svegliarsi per farci uscire dalla crisi in cui l’Europa dell’euro e la Merkel ci hanno cacciato.
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Note
- Il 2 luglio del 2015 la maggioranza governativa del Parlamento italiano, ovvero il PD di Renzi (compresa la corrente bersaniana di minoranza) ha approvato formalmente la legge europea.
- Audizione presso la Commissione Finanze di Carmelo Barbagallo, Capo del Dipartimento Vigilanza bancaria e finanziaria Banca d’Italia