Bruxelles – Non si tratta solo di preservare la maggiore conquista europea e difendere la libertà di circolazione dei cittadini. Se il sistema Schengen dovesse collassare, come la chiusura a catena dei confini degli Stati membri porta a temere, ne risentirebbe pesantemente anche l’economia comunitaria. A lanciare l’allarme è il commissario europeo all’Immigrazione, Dimitris Avramopoulos, intervenuto in Parlamento europeo per un dialogo con i deputati della commissione Libertà civili. “Non si tratta solo di sicurezza e migrazione. Se i confini sono chiusi l’economia è a rischio, è sotto minaccia”, avverte il commissario. “Chi dice che Schengen è morto – mette in guardia – deve pensare che ci sono anche altri pericoli legati alla fine” della libera circolazione europea, “pagheremo tutti un prezzo enorme, economico e politico”. “Se collassa Schengen sarà l’inizio della fine del progetto europeo”, chiarisce il commissario.
Secondo Avramopoulos la crisi dei rifugiati sta “mettendo in gioco il vero cuore dell’Unione europea” perché davanti ad una sfida come questa non ci sono alternative: “Andare avanti come Europa o riportare l’Europa ad un passato oscuro”. Questo è insomma un vero “crash test” per l’intero continente: il momento di “dare alla solidarietà un contenuto e una sostanza” invece che “dare spazio ai populismi, alla xenofobia e ai nazionalismi” che stanno prendendo sempre più piede. Per cambiare le cose, secondo il membro dell’esecutivo Juncker, non si può continuare ad operare in “modalità crisi” ma occorre “migliorare sostanzialmente le nostre politiche”.
Per questo entro marzo 2016, annuncia Avramopoulos, la Commissione presenterà una proposta per la revisione di Dublino che deve diventare “uno strumento di solidarietà tra gli Stati”. In particolare, secondo il commissario, occorre “una chiave di ripartizione che allochi quasi in automatico i migranti tra gli Stati membri”. Insomma “Dublino deve essere rivisto molto profondamente” e bisogna farlo in fretta perché “se un’altra parte del nostro vicinato viene destabilizzata potremmo avere flussi ancora maggiori e dobbiamo essere preparati”. Ma gli interventi previsti dalla Commissione non si limitano a Dublino: l’esecutivo comunitario pianifica di presentare nei prossimi mesi anche un pacchetto per creare vie legali di immigrazione e uno schema di ricollocamento permanente.
Di sicuro ci sarà da lottare visto che il sistema di ricollocamento emergenziale per fare fronte all’emergenza “non funziona”, come conferma lo stesso Avramopoulos. Dall’Italia sono partite appena 190 persone e per il nostro Paese, spiega il commissario, il problema principale è che la maggior parte di chi arriva non ha diritto alla protezione internazionale. Serve dunque maggiore impegno sui ritorni. Dalla Grecia invece, sono state ricollocate 82 persone “quasi niente”, ammette il commissario. “Chiedo agli Stati membri di collaborare di più su questo” chiede Avramopoulos secondo cui le istituzioni hanno preso le decisioni necessarie ma “se gli Stati membri sono piegati sulla loro agenda politica interna falliremo”. La speranza della Commissione è di ottenere risultati concreti “entro il Consiglio europeo di febbraio”.
Anche Italia e Grecia devono però fare la loro parte velocizzando l’apertura degli hotspot. Nel nostro Paese, fa il punto il commissario, “Lampedusa e Trapani sono operativi mentre gli hotspot di Pozzallo e Porto Empedocle potrebbero essere aperti a giorni”. In Grecia invece continua ad essere attivo solo l’hotspot di Lesvos ma un altro potrebbe essere pronto entro la fine del mese.