Roma – La Camera dei deputati ha dato il via libera alla conversione in legge del cosiddetto decreto ‘salva Ilva’, l’acciaieria di Taranto sotto amministrazione controllata che, in base al testo approvato, dovrà essere ceduta a privati entro giugno. Adesso però si profila un confronto con la Commissione europea, che nelle scorse settimane aveva già inviato una lettera di contestazione all’esecutivo per denunciare che le risorse fornite all’azienda – 300 milioni di euro con il decreto appena convertito, altri 800 milioni con la Legge di stabilità, sottoforma di prestito garantito dallo Stato, più ulteriori 400 milioni, con la stessa formula, concessi a marzo dello scorso anno – possono configurarsi come aiuto pubblico vietato dalle regole europee sul mercato unico.
Appena due giorni fa, Margrethe Vestager, commissario alla concorrenza, aveva dichiarato che a Bruxelles “c’è molta attenzione al settore dell’acciaio” e il dossier Ilva è sempre aperto sul tavolo dell’esecutivo comunitario. La questione dello stabilimento di Taranto, però, riguarda non solo le regole sul mercato ma anche quelle sulla tutela ambientale. È proprio su quest’ultima che il governo italiano punta per evitare il deferimento davanti alla Corte di giustizia europea.
Le risorse erogate, secondo l’esecutivo, sono infatti necessarie per la bonifica ambientale dell’Ilva e l’ammodernamento necessario a rendere lo stabilimento meno inquinante, una necessità sancita dalla stessa Commissione già nel 2013, quando ha avviato contro l’Italia una procedura di infrazione proprio per l’eccessivo inquinamento dell’Ilva. Nelle speranze di Palazzo Chigi, le esigenze di tutela dell’ambiente – che consentono un intervento pubblico – dovrebbero indurre il collegio dei commissari a non procedere all’apertura dell’infrazione per aiuti di Stato. Inoltre, come si sottolinea nel parere favorevole espresso dalla commissione Politiche Ue della Camera, il decreto prevede espressamente che chi acquisterà l’azienda dovrà restituire con gli interessi e in tempi certi i 300 milioni erogati in virtù dello stesso provvedimento. Le altre risorse dovrebbero rientrare quando, e se, l’ultimo grado di giudizio del processo contro la famiglia Riva, precedente proprietaria dell’azienda, confermerà il sequestro di 1,2 miliardi di euro attualmente congelati in un conto svizzero.