Bruxelles – La questione del riconoscimento riconoscimento alla Cina dello status di economia di mercato sarà nell’agenda di Bruxelles in questo semestre di presidenza olandese. Domani (mercoledì) il collegio dei commissari discuterà di questo tema su cui, fino ad ora, ha evitato di prendere una posizione chiara. Molto netta è invece la posizione degli eurodeputati europei che sono piuttosto compatti nel dire di “No” al riconoscimento che, temono, finirebbe per mettere in ginocchio l’economia dell’Unione europea. Secondo i dati dell’Economic Policy Institute un tale riconoscimento significherebbe una riduzione del 2% del Pil Ue, mettendo a rischio tra gli 1,7 e i 3,5 milioni di posti di lavoro.
Borrelli: “Conseguenze disastrose” – “Dobbiamo evitare scelte avventate possano impattare in maniera irreparabile, sulla vita delle nostre imprese e dei nostri cittadini”, ha chiesto David Borrelli eurodeputato del Movimento 5 Stelle e co-presidente del gruppo Efdd durante i dibattito al Parlamento europeo dal titolo “China’s market economy status: is winter coming for European industries?” che ha promosso e organizzato insieme ad Edouard Martin ed Emmanuel Maurel, del gruppo dei Socialisti & Democratici. Per Borrelli, co-presidente del gruppo euroscettico Efdd, l’impatto di un riconoscimento dello status di economia di mercato alla Cina “sarebbe disastroso e sul comparto produttivo italiano”. Per questo ha puntato il dito contro l’esecutivo comunitario che “continua a tacere su questa questione, la commissaria Cecilia Malmstroem non ha nulla da dire né al Parlamento né ai cittadini”. Da parte sua il Consiglio “è bloccato perché tra gli Stati prevalgono gli interessi soggettivi e ci sono contrapposizione di blocchi economici diversi”, ma l’Europa non può “consentire che vengano letteralmente distrutti interi comparti produttivi della nostra economia, solo perché il commercio di alcuni Paesi ne trae beneficio”, ha esortato Borrelli.
Il rischio di dumping – La Cina è membro dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (Wto), con lo status di “economia in fase di transizione”, dal 2001. Da tempo afferma che secondo i protocolli dell’organizzazione allo scattare dei 15 anni dall’ingresso, l’11 dicembre 2016, le dovrebbe essere garantito lo status di economia di mercato. Questo avrebbe un forte impatto sulle politiche anti-dumping che proteggono i mercati europei. Il dumping si ha quando un Paese vende all’estero prodotti a un prezzo più basso di quelli che pratica nel proprio mercato interno, cosa che, se provata, consente di imporre dei dazi alle importazioni. Nel caso della Cina però, che non è considerata un mercato libero, il prezzo viene calcolato in base a quello di Paesi terzi per evitare distorsioni, ma se verrà riconosciuta l’economia di mercato tutto questo cambierà.
Martin (S&D): “Le regole devono essere uguali per tutti” – “Questa situazione sta avendo già ripercussioni sulla nostra economia e garantire lo status di libero mercato alla Cina metterebbe in pericolo l’industria europea, il settore siderurgico in primis”, ha denunciato Martin che ha usato un esempio calcistico per parlare di rapporti con Pechino. “Messi ha vinto il quinto pallone d’oro, e il premio gli è stato dato per la sua bravura, non per i favori ricevuti dagli arbitri. La stessa cosa deve valere nel commercio internazionale”.
“Tra vent’anni non ci sarà più una produzione di acciaio europeo” – “Le conseguenze del riconoscimento alla Cina dello status di economia di mercato sarebbero devastanti”, ha avvertito anche Guido Nelisse del sindacato europeo IndustriAll che ha spiegato che nel colosso asiatico la produzione di acciaio “è quadruplicata negli ultimi dieci anni e senza misure anti-dumping tra 20 anni non ci sarà più una produzione di acciaio europea”. “La loro sovrapproduzione – ha contiuato – è tale che da sola potrebbe rimpiazzare tutto il nostro mercato, e i loro prezzi sono calati del 50%, e il tutto grazie all’aiuto dell’economia socialista guidata dallo Stato”.
Cicu (Ppe): “In gioco l’equilibrio mondiale” – “Alcuni dati dimostrano che l’eventuale concessione dello status comporterebbe un aumento dal 25 al 50 % dei prodotti cinesi, con una riduzione del Pil dell’1-2 % rispetto al sistema industriale europeo. Sono in pericolo 3 milioni di lavoratori europei”, ha messo in guardia l’eurodeputato del Ppe Salvatore Cicu secondo cui “l’Europa gioca una scommessa di serietà e dovrà agire in maniera cauta, mantenendo attenzione e trasparenza”, in quanto “è in gioco l’equilibrio mondiale”.
La Germania favorevole al riconoscimento – Ma a quanto pare tra i Paesi dell’Ue le posizioni sono diverse, e questo non aiuterà a far fronte all’avanzata del colosso asiatico. “La Germania ad esempio è a favore della Cina”, ha affermato il Verde lussemburghese Claude Turmes che riferendosi alle importazioni di pannelli fotovoltaici, con l’Europa sempre più invasa da quelli cinesi che hanno un prezzo inferiore ha spiegato che “i macchinari che li producono sono tedeschi e le industrie tedesche stanno guadagnando una valanga i soldi grazie a Pechino”. E questo ammorbidirebbe di molto le posizioni di Berlino in materia.
Il Parlamento compatto per il No – Ma se gli Stati membri si muovono ognuno secondo i propri interessi, più compatti sembrano essere gli eurodeputati che al dibattito, dai 5 Stelle, ai socialisti, ai Verdi e al Ppe, si sono mostrati compatti nel dire “No” allo status di economia di mercato per la Cina. “Sono contento di questa posizione trasversale”, ha concluso Borrelli, “su alcuni temi dobbiamo togliere le bandierine e fare squadra per portare a casa risultati per il nostro continente”.