Roma – “Questo Pd è il motore della sinistra europea”. In una intervista a Repubblica Tv, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, conferma la decisione di legare il suo destino politico al referendum costituzionale – in caso di bocciatura della riforma “io smetto di fare politica”, dice – e contemporaneamente tenta di coinvolgere l’intera famiglia socialista europea nella battaglia, evocando il tema di “come il Pd aiuta il Pse a cambiare l’Europa che in questi anni ha sbagliato politica economica”.
Il premier fa pesare il 40,8% di voti presi alle europee 2014, primo partito nell’Ue, per dire che se andrà a casa lui ne risentirà l’intera sinistra continentale e la sua capacità di incidere per un cambiamento di rotta, dal il rigorismo economico alla flessibilità. Proprio quella flessibilità su cui l’Italia conta per portare a casa l’ok della Commissione europea alla legge di stabilità, in primavera, e che serve come il pane all’inquilino di Palazzo Chigi per confermare tutte le misure – dall’abolizione delle tasse sulla prima casa agli 80 euro in busta paga alle forze dell’ordine, passando per il bonus da 500 euro ai neo diciottenni – che gli saranno utili a mantenere alto il consenso degli elettori.
Una flessibilità sulla quale però, dopo l’invito a non esagerare del presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, è arrivato anche il monito del vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis, che domenica aveva sottolineato come la flessibilità sia “a tempo” e dunque non se ne può abusare. “Sulla flessibilità non decide Dombrovskis ma il collegio dei commissari”, sottolinea Renzi, che affonda il colpo indicando che per lui “il modello è Obama, non Dombrovskis”.
Per uscire dalla crisi e creare occupazione l’Europa deve cambiare la “politica economica sbagliata degli ultimi sette anni”, secondo il premier. Ma per farlo non c’è bisogno di cambiare le regole. “Nessuno che sia saggio può pensare di modificare i trattati adesso”, spiega. Però “si può cambiare politica economica a trattati vigenti”, precisa. Una posizione che suona come una smentita delle dichiarazioni rilasciate appena ieri dal suo sottosegretario per gli affari europei, Sandro Gozi, il quale indicava l’intenzione del governo di alimentare un dibattito che porti alla revisione dei trattati entro il marzo del 2017, quando si celebrerà il sessantesimo anniversario della firma dei Trattati di Roma di cui l’Ue è figlia.
In realtà la smentita è solo apparente. “Renzi parla dell’oggi e in particolare del Fiscal compact (in effetti di questo tema stava parlando con l’intervistatore, Claudio Tito, quando ha pronunciato la frase, ndr)– è la spiegazione data Eunews dallo staff del sottosegretario – mentre Gozi si riferisce a una prospettiva all’interno della discussione sulla nuova governance dell’Ue”. L’esecutivo italiano vuole cambiare le regole, dunque, ma sa che il cammino non sarà facile né immediato. Allo stesso tempo ritiene che non si possa aspettare senza far nulla e quindi spinge per il massimo della flessibilità all’interno delle regole date.
Regole che per altro vengono “rispettate tutte” dal nostro Paese, sottolinea ancora il presidente del Consiglio, che per questo è convinto di aver diritto al riconoscimento delle clausole di flessibilità richieste. Non solo, rispettare le regole, a suo avviso, dà all’Italia la reputazione necessaria a “non andare a Bruxelles con il cappello in mano”. È un atteggiamento al quale i precedenti governi avevano condannato il Paese, ritiene Renzi, “promettendo mari e monti e poi non mantenendo nulla”. Mentre adesso che “c’è chi le riforme le ha fatte e le sta facendo”, indica, in Europa possiamo “dire che noi non andiamo a prendere i compiti da fare a casa”. Si vedrà in primavera se anche la Commissione la pensa così o se deciderà di mettere l’Italia in punizione dietro la lavagna.