Bruxelles – McDonald’s attua pratiche di concorrenza sleale, attraverso il suo per molti insospettato regno immobiliare, che danneggiano i consumatori. La cosa è talmente grave e illegale che merita una denuncia alla Commissione europea. Così la pensano tre associazioni di consumatori italiane, spalleggiate dai sindacati europei del settore alimentare, che oggi hanno presentato la loro iniziativa a Bruxelles.
Questa mattina presso la Commissione Europea Codacons (Coordinamento delle Associazioni per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli utenti e consumatori), Movimento difesa del cittadino, e Cittadinanzattiva, con il sostegno del SEIU (Service Employees International Union) e dei sindacati europei del settore alimentare, si sono riunite e presentate alla Commissione europea con la loro denuncia, dettagliata, allegando alcuni esempi. “Questa denuncia mostra come le pratiche anticoncorrenziali e la gestione dell’azienda danneggiano i consumatori, che troppo spesso si trovano a pagare prezzi più alti. Chiediamo urgentemente alla Commissione Europea di esaminare il sistema di franchising di McDonald’s e di prendere tutte le misure necessarie per porre fine alle regole imposte ai franchisee che generano un danno ai consumatori che in questo tipo di esercizi troppo spesso, fino al 90% dei casi, si trovano a spendere di più per lo stesso prodotto”, così si è espresso Gianluca Di Ascenzo, vice presidente nazionale del Codacons. Scott Courtney, Organising Director di SEIU, ha poi aggiunto “sosteniamo pienamente le associazioni di consumatori che hanno presentato la denuncia. L’abuso di posizione dominante da parte di McDonald’s danneggia tutti: i franchisee, i consumatori e i lavoratori”.
Le associazioni dei consumatori vogliono accendere i riflettori sull’argomento, nei prossimi giorni dunque si prospettano numerosi incontri con gli eurodeputati ed altri decisori europei, che potranno svolgere un ruolo decisivo nella partita. Se l’accusa venisse confermata McDonald’s rischierebbe una sanzione massima pari al 10% del suo fatturato globale, quindi, sulla base dei dati del 2014, fino a 9 miliardi di dollari. Nello specifico l’accusa si muove su diversi livelli, partendo dal presupposto che McDonald’s è la maggior catena di ristoranti fast food di sempre, proprietaria di oltre il 50% di essi, e lo è anche degli edifici dove impiantano le loro attività coloro che ne prendono il franchising ne consegue che il suo business non riguarda solo la vendita di hamburger, ma anche ed in gran parte, le proprietà immobiliari. Il colosso quindi si aggiudica altri due primati, ovvero rappresenta il principale licenziatario di franchising, e il più grande proprietario immobiliare del mondo.
Questi suoi possedimenti, difatti, fruttano molto più del settore alimentare, e calcolando che “i prezzi degli affitti imposti ai suoi franchesee sono molto alti a causa di clausole vessatorie (come la durata di contratto minimo fissato a vent’anni, impossibile da scindere se non con il pagamento di somme ingenti, e le royalty elevate) il risultato è una condotta anticoncorrenziale, in contrasto con gli articoli 101 e 102 del trattato di funzionamento dell’Ue” sostiene Antonio Gaudioso, segretario generale di Cittadinanzattiva.
Le conseguenze però non si abbattono soltanto sui competitors, ma anche sui clienti della multinazionale che ricevono un servizio scadente a prezzi più alti, e sui dipendenti che ricevono stipendi molto bassi. In altre parole, dato che gli affitti applicati ai franchesee superano fino a dieci volte il prezzo di mercato, “questi – dicono le associazioni – per guadagnarci dovranno: acquistare materie prime di scarsa qualità, e retribuire con un salario minimo i lavoratori”. Una perdita per tutti. Tranne che per McDonald’s.
I dati più significativi, che hanno portato le tre associazioni ad indagare, riguardano la differenza di prezzi che si instaura tra i diversi McDonald’s anche all’interno dello stesso Stato. Un esempio è stato portato dall’avvocato Raffaele Cavani, difensore dei consumatori, il quale ha fatto notare come ad esempio in Italia il prezzo medio di un menù cambia se si osservano i diversi franchisee: a Roma il costo medio supera del 67% quello del rivenditore diretto, mentre a Bologna lo supera del 98%. Lo stesso accade in Francia, dove un pacchetto di patatine varia da Lione con un 25%, a Parigi con il 64% e Marsiglia dove il prezzo raggiunge il 72% più elevato di una società di proprietà. Così il rivenditore diretto obbligherebbe i licenziatari a scegliere prodotti di bassa qualità in determinate aree dello stesso territorio, ma anche a garantire stipendi più bassi ad esempio a Bologna o Marsiglia.