Roma – È ufficialmente partita la battaglia, anzi “la madre di tutte le battaglie”, con cui il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si giocherà il prosieguo della sua carriera politica. La Camera dei deputati ha infatti approvato la riforma costituzionale già licenziata dal Senato. Ora il testo (qui i dettagli delle modifiche previste) dovrà fare un ulteriore passaggio nei due rami del Parlamento – dove tuttavia non potrà essere modificato – prima di venire sottoposto al referendum confermativo previsto dalla stessa Carta e che presumibilmente si terrà a ottobre. Una consultazione che lo stesso premier ha indicato come determinante per il proprio futuro politico. Esultando per il voto di oggi, su facebook ha sottolineato la “maggioranza schiacciante“ ottenuta, “in attesa di conoscere il voto dei cittadini in autunno“. “Se perdo il referendum costituzionale considero fallita la mia esperienza in politica”, aveva infatti dichiarato nella conferenza stampa di fine anno, lanciandosi in una partita in cui la sconfitta lo vedrebbe dunque sparire dalla scena pubblica.
Una personalizzazione della battaglia referendaria che non piace molto ai suoi alleati di maggioranza, che con Maurizio Lupi, capogruppo dell’ala centrista formata da Ncd e Udc, sottolineano come il referendum confermativo “non sarà un voto sul futuro di una persona ma sul futuro dell’Italia”. La personalizzazione del voto piace invece a Forza Italia, che in Aula ha già annunciato il suo sostegno ai comitati per il no “per mandare a casa il governo Renzi e far tornare la democrazia”, come ha dichiarato in Aula Mariastella Gelmini.
Il premier considera quella costituzionale una riforma fondamentale per dare stabilità al Paese e snellire l’azione politica del governo, ma l’abolizione del bicameralismo paritario, insieme con la legge elettorale che assegna al primo partito il premio di maggioranza, per le opposizioni è una aggressione alla democrazia perché sbilancia gli equilibri istituzionali in favore dell’esecutivo.
È la denuncia che arriva da Sinistra italiana, il gruppo formato da Sel con alcuni fuoriusciti del Pd, che vede nella riforma un disegno orchestrato da Bruxelles. Nel ragionamento di Stefano Quaranta, esponente del gruppo, “per la governance dell’Ue è più funzionale avere governi che eseguono gli ordini piuttosto che Parlamenti i quali discutono e poi decidono”.
Danilo Toninelli, del Movimento 5 Stelle, ha accusato il premier di avere messo “le mani sulle regole della democrazia” e per di più sfruttando una maggioranza frutto “di una legge elettorale incostituzionale”, come ha sancito la Consulta. Il pentastellato ha sottolineato il nesso tra le riforme e la richiesta di flessibilità all’Ue, ma a suo avviso, “Renzi le riforme le sta facendo non solo per avere quei miseri trenta denari in più dai burocrati europei, ma per creare una repubblica delle banche e poterla gestire”.
Il cammino verso il referendum si preannuncia infuocato e anche la battaglia dei sostenitori del no è già partita. Giuristi come Stefano Rodotà e Domenico Gallo hanno aderito al Comitato per il no presieduto da Alessandro Paci e si sono riuniti mentre in Aula si votava la riforma. Sarà curioso vedere dalla stessa parte Sinistra italiana, Forza Italia, Lega e Movimento 5 Stelle, ma ciò che terra anche l’Europa col fiato sospeso è il risultato che verrà fuori dalle urne. Da sì o dal no dipende non solo il futuro di Renzi ma la maggiore o minore capacità dei governi di imporre anche le decisioni prese in sede europea.