Roma – L’unione fiscale nell’Ue “è ormai diventato argomento solo per gli ottimisti, per uscire dalla crisi abbiamo bisogno di uscire dall’Euro, ristrutturare il debito e nazionalizzare le banche”. Antonio Guglielmi, ricercatore di Mediobanca, è il più critico dei relatori presenti al convegno organizzato oggi al Senato da Adusbef e Federconsumatori sul sistema bancario italiano nell’ottica della nuova normativa europea che regola il salvataggio degli istituti in crisi. Nel suo lungo intervento non è mancato il monito che ha spiazzato la sala: “Il prossimo ‘bail-in’ sarà sul debito pubblico”.
Proprio l’introduzione del ‘bail-in’ – il meccanismo che, dal primo gennaio 2016, permette di attingere ai fondi di azionisti e risparmiatori privati per il salvataggio di una banca, con lo scopo ultimo di non far ricadere il costo su tutti i contribuenti di uno Stato membro – è stata al centro del confronto tra economisti, professori universitari e addetti del settore. Per essere più precisi: una banca in crisi finanziaria non avrà più bisogno dell’intervento dello Stato, ma i fondi necessari al salvataggio saranno a carico, in ordine, degli azionisti, obbligazionisti, correntisti (eccetto depositi sotto i 100 mila euro, Pmi e strumenti garantiti), fondo di garanzia finanziato dalle banche stesse. Il meccanismo entrato in vigore con il nuovo anno ha dominato il discorso insieme alla possibilità di creare una ‘bad bank’, in caso di salvataggio, per scorporare i crediti a rischio di solvibilità.
Non poteva certo mancare un lungo approfondimento sui quattro istituti di credito recentemente salvati con il decreto ‘salvabanche’, ma soprattutto una lunga riflessione sulle criticità del sistema bancario italiano, tutt’altro che sano, secondo le parole di Alessandro Penati, professore ordinario di economia all’Università Cattolica, e di Alberto Gallo di Royal Bank of Scotland.
Tre i grandi problemi del nostro sistema bancario per Penati, convinto che le banche appena salvate sia solo la punta di un iceberg pronto a emergere. Il primo deriva dalla fragilità e dalla frammentarietà delle banche italiane. Poi quello che Ernesto Gallino teorizzava già nel libro Finanzcapitalismo, ovvero le ‘porte girevoli’ e lo stretto legame che si è instaurato tra politica, investitori privati e banche. Infine, la grande rete di distribuzione degli istituti di credito, che dal 2007 si sono trasformati in supermercati finanziari.
Un punto, quest’ultimo, sostenuto a gran voce anche da Gallo, che ha rilanciato sulla vigilanza da parte di Consob e sulla grande occasione di riforma del sistema bancario che, a suo avviso, andava fatta ben prima del decreto del governo datato 22 novembre 2015 sul settore creditizio. Inoltre, sempre secondo l’economista di stanza a Londra, gli istituti di credito italiani continuano a non prestare denaro alle aziende frenando la ripresa economica. Basti pensare che i prestiti sono diminuiti di 115 Miliardi di Euro negli ultimi 8 anni, e che i mini-bond non hanno creato l’effetto sperato nell’economia reale.
Al termine dell’incontro, quasi all’unisono, i relatori si sono trovati d’accordo sull’esigenza di una maggiore apertura del sistema italiano al mercato, con un’authority che sia indipendente dalla politica e dagli interessi di parte, ma anche con la speranza di una maggiore influenza italiana a Bruxelles, perché, sostiene il presidente di Adusbef il presidente di Adusbef Elio Lannutti, “non è possibile che l’Italia abbia partecipato al fondo ‘salva Stati’ con 63 miliardi di Euro, con i quali abbiamo salvato le banche spagnole, e ora qualsiasi intervento sia tacciato come aiuto di Stato”.