Una delle parole d’ordine in questi tempi di terrore è la lotta alla radicalizzazione. Da ogni parte sentiamo invocare la necessità di soffocare la radicalizzazione sul nascere con ogni mezzo possibile, nelle scuole, su internet, fra i giovani. In realtà con questa parola si intende solo la radicalizzazione religiosa e di fatto ci si riferisce solo ai mussulmani. Se andiamo a vedere da vicino, il concetto di radicalizzazione è molto equivoco e si presta a interpretazioni diverse. Letteralmente radicalizzazione significa ritorno alle radici e nel nostro immaginario collettivo le radici sono sempre una cosa buona.
Oggi invochiamo spesso il ritorno alle radici nel senso di un recupero di autenticità e di valore nel nostro modo di vivere standardizzato e dispersivo. Che cos’è quindi che rende nefasto il ritorno alle radici della religione islamica? La risposta dell’opinione corrente è l’estremismo e la violenza che alcune sure del Corano possono ispirare. La conseguente analogia porta poi a concludere che alle sue radici l’Islam è una religione violenta. Ma anche la Bibbia e la Torah sono libri carichi di incitazioni alla violenza e perfino al genocidio. Di conseguenza, anche un ritorno alle radici cristiane dovrebbe essere osteggiato e perseguito come radicalizzazione. Invece per la cristianità e per il giudaismo non usiamo il termine radicalizzato. Un cattolico rigoroso lo chiamiamo praticante e un ebreo ligio alla regola della sua religione lo chiamiamo ortodosso. Lo stesso vale per molti altri comportamenti sociali. Non esiste un vegetariano radicalizzato come non esiste un pacifista radicalizzato. Il primo lo chiamiamo autentico e il secondo convinto. Pare dunque che il fanatismo della radicalizzazione sia un’esclusiva islamica. La contraddizione è ancora una volta nei termini ed è teologica più che linguistica. La verità è che tutte le religioni monoteiste contengono un messaggio di violenza. Sostenendo che solo la loro fede è quella vera e che questo mondo è una tappa transitoria verso la perfezione celeste, queste religioni predicano un’esclusiva della verità dove ogni mezzo diviene lecito per eliminare chi la contesta e chi attribuisce valore alla realtà secolare. Se cristiani ed ebrei non arrivano al punto di farsi esplodere in nome della loro fede è per ragioni storiche, non teologiche. Le persecuzioni, i pogrom, le guerre di religione e l’Olocausto ci hanno apparentemente vaccinato. Ma il seme della violenza è comunque nei nostri geni religiosi. Cristianesimo e Islam sono le due uniche religioni al mondo che si pongono come obiettivo la conversione dell’infedele. L’ebraismo non lo fa perché non ne ha bisogno: si fonda sulla nozione di popolo eletto. Nel voler convincere l’altro a convertirsi alla propria visione del mondo o nel considerarsi unici scelti da Dio è inevitabilmente insita la violenza. L’altrui fede o peggio ancora l’ateismo è un ostacolo da eliminare o un errore da correggere.
Per concludere, se si vuole davvero sventare la radicalizzazione che ispira l’estremismo terrorista, bisogna avere l’onestà e il coraggio di riconoscerne il seme dovunque esso si trovi. Non è radicalizzazione quella del medico antiabortista che rifiuta di svolgere il suo lavoro in violazione della legge dello stato e pretende di avere lui il controllo sul corpo di una donna? Non è radicalizzazione quella del testimone di Geova che nega la trasfusione sanguigna a suo figlio in nome delle sue credenze religiose? Non è radicalizzazione quella di alcuni movimenti cattolici che considerano l’omosessualità una malattia e lo possono affermare impunemente? Ecco alcuni comportamenti estremisti meno spettacolari del terrorista suicida ma ugualmente seminatori di violenza. Finché non combatteremo anche questi la nostra lotta alla radicalizzazione sarà solo un’ipocrisia.