Cosa significa essere un mediatore dell’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, e doversi confrontare ogni giorno con i protagonisti di quel tragico esodo che è la crisi migratoria? Per rispondere a questa domanda Eunews ha intervistato Giuseppe Pensabene Perez, un giovane connazionale che lavora in prima linea nell’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo. La testimonianza fa emergere la durezza della situazione, ma anche il suo essere concreta e profondamente umana.
In cosa consiste esattamente il suo lavoro?
“Ho studiato l’arabo all’Università, una lingua per la quale sono anche abilitato come insegnante. Grazie a queste conoscenze linguistiche fornisco informazioni alle persone appena arrivate in Italia che provengono da Paesi quali per esempio la Siria, l’Iraq, la Libia. Il personale dell’Unhcr è presente in Sicilia e nel Sud Italia nei porti dove avvengono gli sbarchi per dare informazioni alle persone appena arrivate e identificare possibili casi vulnerabili da segnalare alle autorità competenti. Insieme ad altri mediatori culturali, affianchiamo lo staff legale che dà l’informativa ai richiedenti asilo e rifugiati sia nei punti di arrivo che nei centri di prima accoglienza in Sicilia”.
Ci racconti una giornata tipo.
“È difficile descrivere una giornata tipo poiché non ci sono due giornate uguali nel mio lavoro. Se c’è uno sbarco solitamente veniamo informati il giorno prima, con i colleghi ci rechiamo al porto e lì incontriamo le persone appena arrivate . Gli sbarchi possono durare parecchie ore, in base a quante persone sono arrivate e se ci sono casi particolari. Alla fine della giornata discutiamo con i colleghi e mandiamo un riassunto degli eventi all’ufficio a Roma. Il giorno successivo visitiamo altri centri di accoglienza e così via fino al successivo arrivo via mare”.
Quali sono gli aspetti che preferisce di quello che fa, sia dal punto di vista professionale che da quello umano?
“Credo che il fatto di indossare la maglietta con il simbolo di Unhcr o la giacca blu colore Nazioni Unite ci rende riconoscibili per i migranti e i rifugiati. Loro conoscono il significato di questo simbolo e li rassicura. È forse questo l’aspetto che preferisco nel mio lavoro, sapere che grazie alla fama dell’agenzia per cui lavoro, le persone si possono fidare di me e io posso essere un punto di informazione e di conforto”.
Una storia o un episodio che l’ha colpita particolarmente?
“Qualche mese fa ho incontrato una famiglia ad uno sbarco, la madre è ucraina e il padre siriano, si erano conosciuti online, innamorati, e poi avevano deciso di sposarsi e vivere insieme in Siria. Quando la guerra è scoppiata sono partiti con i loro due bambini in Ucraina, dalla famiglia di lei, ma poi il conflitto, anche se diverso, è arrivato anche lì. Hanno allora deciso di fuggire in Libia. Dopo qualche tempo, pure lì la situazione è diventata instabile e insostenibile per la famiglia ucraino-siriana. Quando lei ha saputo di essere incinta del terzo figlio, hanno deciso di prendere la barca e rischiare la vita per venire in Europa. Ascoltando la loro storia, mi sono reso conto di quanto difficile sia trovare un luogo sicuro, e di come sia demoralizzante dover spostarsi da un paese all’altro mai sapendo se lì si è ora al sicuro. Cosa possono aver detto i genitori ai loro figli quando si sono spostati per la terza volta? Come si fa a rassicurarli?”.
Da dove arrivano i migranti?
“La maggioranza delle persone che rischiano la pericolosa traversata del Mediterraneo hanno bisogno di protezione internazionale, scappano da guerre, violenza e persecuzioni nei loro paesi d’origine. Oltre l’84% delle persone che arrivano attraverso il Mediterraneo, provengono da una decina di paesi che l’Hcr definisce come produttori di rifugiati. Le principali nazionalità delle persone che arrivano attraversando il Mediterraneo sono Siria, che contano per più del 50% degli arrivi, Afghanistan (20%), Iraq (7%), Eritrea (4%), seguiti da Pakistan, Nigeria, Somalia, Sudan, Gambia e Mali”.
Negli ultimi mesi sembra che ci sia stato un calo dell’afflusso di migranti attraverso la rotta mediterranea. C’è stato anche un cambiamento dal punto di vista delle nazionalità? Qual’è la sua percezione in proposito?
“Rispetto all’anno precedente, nel 2015 c’è stato un importante aumento dei flussi misti di migranti e rifugiati attraverso la rotta mediterranea. Dall’inizio dell’anno, oltre 910.000 persone hanno attraversato il Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l’Europa. Quello che è cambiato è stato che il flusso, inizialmente diretto principalmente verso l’Italia, ora si è spostato sulle isole greche, dove oltre 750.000 persone sono arrivate dall’inizio del 2015. In Italia, il numero di arrivi via mare nel 2015 è di circa 150.000 persone, molto simile a quello del 2014. Ci sono anche arrivi via mare in Spagna e a Malta, ma in numeri più ridotti.
Negli ultimi due mesi in Italia si è verificato un leggero calo negli arrivi con rispetto agli arrivi dello scorso anno per lo stesso periodo. Questo può essere legato alla diminuzione degli arrivi di persone in fuga dalla Siria che tendono maggiormente a prendere la rotta dei Balcani via le isole greche. Il dato più preoccupante è sicuramente quello dei morti e dispersi in mare. Nonostante gli sforzi coordinati di tutti gli attori coinvolti nelle operazioni di ricerca e soccorso, sono oltre 3,550 le persone che hanno perso la vita in mare quest’anno”.
Dopo gli attacchi di Parigi sembra che la tendenza di alcuni paesi Ue sia quella di una “stretta” su questioni che riguardano più o meno direttamente l’immigrazione. Le sembra che i rifugiati ne siano consapevoli? Ha notato un cambio di atteggiamento da parte loro?
“La maggioranza di coloro che arrivano in Europa fugge da conflitti e persecuzioni, ed è incapace di raggiungere la salvezza per le vie legali in Europa. Tante persone fuggono dallo stesso estremismo e terrorismo associato agli attacchi di Parigi. Le situazioni precarie nei paesi di prima accoglienza, quali il Libano o la Giordania per i rifugiati siriani, stanno anche spingendo molti a partire per l’Europa. L’Unhcr si è detto molto preoccupato per le reazioni di alcuni paesi in seguito agli eventi di Parigi, quali la fine di programmi d’aiuto per i rifugiati o proposte di costruzioni di muri e barriere ai confini. Si tratta di qualcosa di molto pericoloso, in quanto contribuisce ad aumentare la xenofobia e la paura. I problemi di sicurezza che l’Europa sta affrontando oggi sono estremamente complessi. Non si possono trasformare i rifugiati in capri espiatori, e questi non possono diventare le vittime secondarie di tali tragici eventi. I migranti e rifugiati ne sono consapevoli e soffrono ulteriormente di queste decisioni. Bisogna espandere significativamente i canali legali, in particolare i programmi di ricollocamento e di ammissioni umanitarie, come alternative ai viaggi pericolosi e irregolari, stroncando nel frattempo il traffico di esseri umani.
Crede che l’Unione europea potrebbe fare di più per aiutarvi nel vostro lavoro e, in generale, a gestire meglio il problema dei flussi migratori?
“È molto importante insistere che questa crisi di rifugiati sia affrontata con una risposta collettiva di tutta l’Europa. Bisogna trovare risposte comuni che vadano oltre a quelle dei singoli Stati, per gestire una crisi che sta provocando ulteriori sofferenze a persone che fuggono da situazioni insostenibili.
In questa direzione, l’HCR ha accolto con favore la proposta del Consiglio Europeo di aumentare in modo significativo le risorse per l’assistenza umanitaria in paesi vicini alla Siria, che sono quelli che accolgono il maggior numero di rifugiati siriani, così come ha accolto con favore la decisione di ricollocare 120.000 rifugiati dalla Grecia e dall’Italia e redistribuirli appunto in altri paesi europei. Ma il piano di ricollocamento potrà essere efficace solo se accompagnato dalla creazione e dall’espansione di adeguati sistemi d’accoglienza e registrazione nei paesi di primo accesso in Europa, come appunto l’Italia e la Grecia.
Inoltre, è importante sottolineare che in questa fase della crisi, il programma di ricollocamento da solo non basterà a stabilizzare la situazione. I rifugiati non dovrebbero dover ricorrere ai trafficanti, rischiare le loro vite in pericolosi viaggi via mare o via terra per raggiungere un paese sicuro dove poter richiedere la protezione internazionale. È necessario ampliare le opportunità di accesso all’Europa attraverso vie legali, quali il reinsediamento, i visti per motivi umanitari o di studio, il ricongiungimento familiare.
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Giuseppe Pensabene Perez fa il mediatore culturale per l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Il suo lavoro consiste nell’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo che arrivano in Sicilia da Siria, Iraq e Libia, ai quali, insieme ad altri mediatori e allo staff legale, fornisce l’informativa sia nei punti di arrivo che nei centri di prima accoglienza.