Bruxelles – Per la mancata riduzione dello smog, e in particolare delle polveri sottili nelle maggiori città italiane, la Commissione europea è pronta ad passare alla seconda fase della procedura d’infrazione comunitaria (il “parere motivato”), che potrebbe portare poi a un ricorso alla Corte europea di Giustizia con la richiesta di condannare l’Italia a pagare una sanzione forfettaria da 1 miliardo di euro, più sanzioni pecuniarie aggiuntive proporzionali alla durata ulteriore delle violazioni alla direttiva sulla qualità dell’aria.
Lo hanno affermato fonti della Commissione europea, con riferimento in particolare al superamento consistente delle soglie per la concentrazione di particolato Pm10 (la soglia media annuale di 40 microgrammi per metro cubo e quella giornaliera di 50 microgrammi/m3) in tutta la Pianura Padana (Emilia Romagna, Piemonte, Lombardia e Veneto), a Roma e a Napoli. In queste aree “siamo a circa 100 giorni di superamento del limite massimo giornaliero di 50 microgrammi per metro cubo, il triplo della soglia di tolleranza di 35 giorni all’anno”, hanno spiegato le fonti. E’ una situazione simile a quella riscontrata in Bulgaria e Polonia, due Stati membri per i quali la Commissione ha già adito la Corte di Giustizia, rispettivamente il 18 giugno e il 10 dicembre scorsi. E se l’Italia si colloca subito dopo questi due Paesi per il numero di giorni di “sforamento” all’anno, con picchi inferiori a quelli registrati in alcune città bulgare e polacche, la situazione nella Penisola “è peggiore in termini di morti premature attribuite all’esposizione al Pm10 e al biossido di azoto: le cifre ufficiali, fornite dall’Agenzia europea per l’Ambiente, vedono l’Italia al primo posto assoluto nell’Ue con 84.000 decessi prematuri all’anno”, hanno sottolineato le fonti. Si tratta, hanno aggiunto, di “livelli di esposizione incompatibili con il diritto alla protezione della salute dei cittadini, che è il primo obiettivo delle norme Ue sulla qualità dell’aria”.
A quanto sembra, se il caso italiano non è ancora davanti alla Corte di Giustizia, è solo perché i dati delle concentrazioni di gas inquinanti relativi al 2014 non erano ancora pervenuti alla Commissione alla scadenza prevista del 30 settembre scorso, mentre non erano mai stati comunicati quelli del 2013; solo dopo una messa in mora dell’Italia da parte dell’Esecutivo Ue i dati di entrambi gli anni sono stati finalmente inviati a Bruxelles, il 30 novembre scorso. Come si arriva al calcolo di 1 miliardo di euro per la sanzione che la Commissione chiederà probabilmente alla Corte Ue di comminare all’Italia, in caso di condanna per la mancata adozione di misure idonee a rientrare nelle norme? Semplicemente considerando i tre coefficienti oggettivi che determinano l’ammontare complessivo: il coefficiente Paese, che è molto alto per i grandi Stati membri come l’Italia (solo per la Germania è più alto); il coefficiente durata dell’infrazione (per l’Italia siamo a 10 anni di sforamenti, fin da quando entrò in vigore la direttiva qualità dell’aria nel 2005); e infine il coefficiente gravità, che in questo caso è il massimo possibile, trattandosi di violazioni che minacciano direttamente la salute dei cittadini, hanno spiegato le fonti, ricordando che ci sono stime impressionanti (fra l’altro, dell’Agenzia europea dell’Ambiente di Copenaghen) sul numero di persone esposte al rischio di morte prematura a causa di questi gas inquinanti. Una regione italiana particolarmente inadempiente, sempre secondo le fonti della Commissione, è il Veneto, dove “tutto è fermo dal 2006, in dieci anni non hanno praticamente fatto niente”, nonostante l’obbligo di stabilire e aggiornare periodicamente i piani d’azione per il rispetto delle soglie stabilite dalla direttiva, anche se “risulta che finalmente ora stiano cominciando a muoversi”. Un’altra regione nei guai è il Piemonte, ma in questo caso ci sono giustificazioni dovute alla presenza di montagne intorno alle città che ostacolano il ricambio dell’aria. Sempre in Veneto, infine, le fonti comunitarie hanno paventato una ripetizione a breve del disastro dell’Epifania degli anni scorsi, causato dal tradizionale falò del “Panevin”, in cui capita spesso che si bruci di tutto, compresi materiali plastici (con emissioni di diossina).
L’anno scorso, l’Agenzia regionale per l’ambiente (Arpa) del Veneto non riuscì nemmeno a stabilire il livello effettivo di concentrazione del Pm10 per tutta la giornata del 6 gennaio, perché era superiore al livello massimo di 350 microgrammi per metro cubo) che le centraline possono registrare. Oltre che contro l’Italia, la Bulgaria e la Polonia, la Commissione europea ha aperto procedure d’infrazione contro altri 13 Stati membri per l’eccessiva concentrazione di polveri sottili: Belgio, Repubblica ceca, Germania, Grecia, Spagna, Francia, Ungheria, Lettonia, Portogallo, Romania, Svezia, Slovacchia e Slovenia. Anche per un altro inquinante maggiore fra i componenti dello smog, il biossido d’azoto (NO2), che causa malattie cardiovascolari e respiratorie, la Commissione ha iniziato varie procedure d’infrazione contro l’Italia e altri Stati membri in particolare Regno Unito, Portogallo, Spagna, Germania e Francia, per violazione degli standard di qualità dell’aria in vigore fin dal 2010 (direttiva Ce 2008/50).
Articolo tratto da Askanews.