Come si fa a non parlare delle elezioni americane? Arrivano tra quasi un anno, ma segneranno tutto il 2016. Sono veramente delle strane presidenziali, niente di simile da quando esistono gli Stati Uniti d’America. A proposito, l’anno prossimo è bisestile come il 1776, quando il 4 luglio fu proclamata l’indipendenza. Fanno 240 anni e 55 presidenti con quello che sarà eletto a novembre. Quello o quella?
È sicuramente la prima domanda che bisogna farsi. Una donna al potere è un’idea molto britannica e molto poco americana. Hillary ha già fallito una volta contro Obama. Questa volta sembra che abbia davanti un’autostrada. Ma i caselli delle primarie non ancora cominciate sono molti. Il primo nemico di Hillary si chiama Hillary. Ha una pericolosa tendenza a forzare i fatti aggiungendo tocchi di colore inventati per farli sembrare più “vissuti”. Come quando raccontò – per poi correggersi – di essere finita sotto il fuoco dei cecchini in Bosnia nel 1996. Era la campagna del 2008, quella contro Obama, e aveva bisogno di far vedere che anche una donna può fare il commander in chief. In Bosnia era andata davvero, subito dopo la guerra voluta contro i Serbi dal marito Bill, ma i cecchini se li era inventati. Come qualche giorno fa si è inventata che gli jihadisti dell’Isis usano i video di Donald Trump per reclutare adepti. Se si butta su Google “list of Hillary lies” viene fuori una storia che dice che non c’è abbastanza banda per un elenco completo. Il secondo nemico di Hillary si chiama Bill, marito ed ex presidente. Per due ragioni. La prima è lo scandalo Lewinsky, che verrà utilizzato come una mazza da baseball dai suoi avversari. Donald Trump ha già cominciato, ritwittando quest’estate: “se non riesce a soddisfare il marito come può pensare di soddisfare l’America?”. La seconda è più sottile ma più importante: la gente si chiede chi comanderà veramente nella coppia Clinton alla Casa Bianca. Il timore è di un presidente di facciata e un altro che manovra dietro le quinte, non proprio il massimo della trasparenza.
La seconda domanda è quella che invece fa apparire come un’autostrada gli 11 mesi che separano Hillary dalla vittoria: come fanno gli americani a eleggere presidente uno come Donald Trump? Bisogna dire che è una domanda molto europea ma dalla risposta meno ovvia negli Stati Uniti, ce ne stiamo accorgendo da dopo l’estate dopo aver previsto – sbagliando – che la candidatura di The Donald si sarebbe bruciata come un fuoco di paglia alla fine delle vacanze. I sondaggi puntano in tutt’altra direzione e sembra che anche l’establishment repubblicano abbia rinunciato all’idea di farlo fuori. Anche perché i sondaggi collocano gli altri candidati del Grand Old Party a distanze stellari. Come che vada a finire, spunti o no un terzo incomodo (peccato davvero che Joe Biden non se la sia sentita), una lezione si può trarre già oggi, anche se non sono ancora iniziate le primarie.
Nella corsa alla Casa Bianca i soldi non sono tutto. Anche se, paradossalmente, non sono mai stati così tanti. Questa è la campagna presidenziale più ricca di sempre. Dove però comandano in pochi. Il New York Times ha calcolato che un ristrettissimo circolo di 158 famiglie abbia messo sul piatto la metà delle centinaia di milioni di dollari impegnati sinora. Si dice che Hillary abbia più soldi di tutti da spendere. Ma non ci sono cifre certe. Si sa invece con ragionevole approssimazione che Jeb Bush e sostenitori possono contare su 130 milioni di dollari, una cifra molto alta, ma non abbastanza da farlo salire nei sondaggi: il figlio e fratello di due ex presidenti è il fanalino di coda, con percentuali di gradimento a una sola cifra. “The Donald” si vanta di essere molto ricco, ma la classifica di Forbes lo valuta “solo” 4,5 miliardi e lo colloca al posto numero 72 della lista dei 500 più ricchi e potenti, dopo sia Hillary, al numero 58, che Bill Clinton, al 64. Insomma, questa volta non è detto che chi ha i soldi abbia vinto.
Poi ci sono le armi segrete dei due contendenti, ammesso che restino loro i protagonisti nel 2016. Quella di Trump si chiama Matt Drudge. Non è notissimo in Europa continentale. Lo conosce bene l’italiano Dagospia, che si è ispirato (diciamo così) a www.drudgereport.com per creare il suo sito di gossip. Drudge, californiano di Los Angeles, è diventato famoso con lo scandalo Lewinsky, che ha scoperto per primo, e oggi è probabilmente il primo news aggregator del mondo. Fa due milioni di visitatori unici al giorno e 700 milioni di pagine viste al mese. Non c’è giornalista di lingua inglese che non ci faccia una capatina almeno una volta al giorno. Matt è conservatore, ma non è il braccio armato del partito. Ha avuto simpatie per Obama alle presidenziali del 2008, detesta i Clinton, si definisce populista e non è per nulla allineato con l’establishment repubblicano, che se potesse cancellerebbe Trump dai media e non solo. Sono molte le cose che dividono Trump dal Grand Old Party. Una di queste è l’immigrazione. Trump vuole rispedire a casa gli immigrati, messicani o islamici che siano. L’establishment repubblicano no. Tutto sommato la manodopera a basso costo dei migranti fa comodo a chi possiede qualche fabbrica, anche perché calmiera il costo di quella americana.
L’arma segreta di Hillary, secondo le sue stesse parole, invece è Bill. Vuol far passare il marito dal ruolo dietro le quinte giocato finora a quello di spalla sul palcoscenico. Spera che un profilo molto maschile come Bill possa contrastare il maschilista Donald e fare da scudo ai suoi attacchi. Secondo un’altra teoria molto machiavellica invece la vera arma segreta di Hillary sarebbe proprio Trump. Anzi, sarebbe stato lo stesso Bill a indurre Trump a scendere in campo (i due si sentono spesso per parlare di golf, donazioni e forse anche di donne) nella certezza che contro un candidato del genere la moglie avrebbe avuto la strada spianata. I colloqui risalirebbero all’inizio dell’estate, quando The Donald era considerato un totale bluff. E quando la più temibile avversaria di Hillary era considerata l’ex top manager di Hewlett-Packard Carly Fiorina, poi precipitata a percentuali di gradimento a una cifra. Chissà se Clinton avesse potuto vedere i sondaggi di sei mesi dopo ..
Comunque questa volta non si vince con i soldi, almeno non solo con quelli. Jeb Bush ne ha spesi una montagna in advertising tv ma è letteralmente invisibile sui media. Trump non ha speso quasi niente ma ad ogni sparata non solo sale nei sondaggi, ma si guadagna le prime pagine dei giornali e l’apertura dei tg. Senza sborsare un cent. Hillary finora ha speso con parsimonia, anche se sono soldi non suoi, a differenza di quelli di Trump. Più che di soldi sembra che questa volta sia una questione di forza. Fatta di muscoli e di nervi. Finora Donald ha mostrato più doti da attaccante, specialità i colpi bassi, e Hillay da incassatrice, con le sue 11 ore in Congresso sul caso Benghazi più da macchina che da essere umano. Dalla parte di chi sarà schierata la Forza? Mettiamoci comodi, il film delle presidenziali 2016 dura 10 mesi e una settimana.