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    Home » Non categorizzato » L’unione bancaria europea colpisce i risparmiatori e le banche italiane

    L’unione bancaria europea colpisce i risparmiatori e le banche italiane

    [di Enrico Grazzini] L’unione bancaria è un potenziale disastro, soprattutto per l’Italia. Le direttive europee penalizzano non solo migliaia di risparmiatori ignari e innocenti ma anche gli istituti di credito nazionali, e in particolare le medie e piccole banche. Vincono invece le grandi banche internazionali e del nord Europa.

    Redazione</a> <a class="social twitter" href="https://twitter.com/eunewsit" target="_blank">eunewsit</a> di Redazione eunewsit
    18 Dicembre 2015
    in Non categorizzato

    di Enrico Grazzini 

    L’unione bancaria dettata dalla Commissione UE è un potenziale disastro, soprattutto per l’Italia. Le direttive europee penalizzano non solo migliaia di risparmiatori ignari e innocenti ma anche gli istituti di credito nazionali, e in particolare le medie e piccole banche. Vincono invece le grandi banche internazionali e del nord Europa. Se il governo italiano avesse la volontà e il coraggio di salvaguardare non solo a parole l’economia nazionale dovrebbe impedire questo attacco frontale al risparmio degli italiani da parte dei concorrenti dell’Italia. E la Cassa Depositi e Prestiti dovrebbe intervenire per garantire il risparmio italiano utilizzando anche l’arma delle nazionalizzazioni bancarie (come del resto hanno fatto Germania e Francia). Le stesse banche italiane dovrebbero respingere con forza questa unione bancaria che le discrimina rispetto alle concorrenti tedesche, francesi e anglosassoni.

    La vigilanza della Banca centrale europea ha finalmente promosso le banche italiane: queste, secondo gli esami (stress test) della BCE, sarebbero sufficientemente patrimonializzate se scoppiasse una nuova crisi finanziaria. Ma il Financial Times fa considerazioni assolutamente opposte[1]. Secondo l’autorevole quotidiano londinese, la crisi bancaria in Italia costituisce una grande minaccia, esiste una montagna di crediti in sofferenza, e una nuova probabile crisi bancaria potrebbe far saltare il governo Renzi e fare uscire l’Italia dall’euro.

    Ci sono diversi problemi. Il primo problema è l’attacco al risparmio. Dal primo gennaio 2016 l’Unione europea impone che siano anche i clienti delle banche a pagare per salvare gli istituti di credito in crisi. Prima gli azionisti, poi gli obbligazionisti (per oltre 600 miliardi di euro, per poco meno di due terzi in mano a risparmiatori, gli altri in mano a investitori istituzionali), poi i clienti con più di 100 mila euro in deposito: tutti questi pagheranno per salvare le banche in crisi, magari a causa delle ruberie dei manager e delle loro speculazioni fallite.

    Decine o centinaia di migliaia di ignari risparmiatori sono a rischio. Lo afferma niente di meno che il presidente dell’Associazione bancaria italiana (ABI), Antonio Patuelli, e non un pericoloso fanatico antieuropeista. «Il salvataggio da parte dei clienti e degli obbligazionisti voluto dalla Commissione europea è solo un’estrema ipotesi teorica nel nostro paese – ha detto Patuelli al Corriere della Sera – L’articolo 47 della nostra Costituzione obbliga la Repubblica italiana alla tutela il risparmio. E le direttive comunitarie e il recepimento delle medesime non possono correggere la nostra Costituzione». Patuelli parla chiaro: la Costituzione italiana è contro le direttive bancarie europee!

    Anche le banche italiane si rendono conto dell’enormità delle conseguenze disastrose delle nuove direttive UE imposte da Berlino, e in particolare dall’ultraconservatore ministro tedesco del Tesoro, l’europeista (?) Wolfgang Schäuble. Grazie a queste direttive, appena una banca avrà qualche problema, gli azionisti, i maggiori clienti e gli obbligazionisti fuggiranno subito per paura di incappare nel cosiddetto bail-in (cioè nel salvataggio pagato dagli investitori e dai clienti stessi della banca, senza intervento dello Stato). Ma se gli investitori e i clienti fuggono, la raccolta di denaro diventa più costosa e la banca rischia automaticamente di fallire. Un esempio da manuale di profezia che si auto-avvera.

    Per evitare questo disastro, il governo Renzi e le banche nazionali hanno in fretta e furia, prima che le norme europee entrino in vigore, salvato quattro istituti in crisi commissariati da Banca d’Italia, sulle cui brutte vicende sta indagando la magistratura: Banca Marche, Carife, Popolare Etruria e CariChieti. Grazie ai soldi anticipati dalle maggiori banche italiane (Unicredito, Intesa Sanpaolo e UBI, con la garanzia della Cassa Depositi e Prestiti) i depositi bancari degli istituti in crisi non sono stati toccati e le banche continueranno ad operare e verranno messe in vendita sul mercato.

    Il governo italiano ha operato in anticipo per evitare di spaventare tutti gli inconsapevoli risparmiatori italiani già prima dell’introduzione delle nuove norme europee. Queste norme in teoria vorrebbero impedire che lo Stato (cioè i contribuenti) si faccia carico della crisi di una banca, e che aumenti così anche il suo debito pubblico. Ma in caso di crisi, dopo il bail-in, lo Stato alla fine dovrà comunque intervenire per non fare fallire definitivamente l’istituto di credito insolvente.

    Quindi non solo sono a rischio i soldi degli obbligazionisti e dei clienti maggiori, ma sono minacciati anche i soldi dei cittadini-contribuenti che il bail-in in teoria dovrebbe proteggere. Un disastro annunciato. Talmente palese e assurdo che lo stesso Mario Draghi in maniera riservata ha espresso ufficiosamente la sua forte contrarietà al sistema di bail-in voluto dai tedeschi[2].

    Vincono le grandi banche internazionali, soprattutto tedesche e francesi

    Quali altre conseguenze ci saranno? È certo che le nuove norme favoriranno le grandi banche internazionali “troppo grandi per fallire”. Soprattutto cresceranno le banche “più sicure”, cioè quelle protette dai grandi Stati che non faranno mai fallire le loro banche: Germania, Francia, USA, Svizzera, ecc. Non a caso Draghi ha già avvertito che «con l’esame della BCE le banche deboli dovranno chiudere». Ma la crisi globale è nata proprio dalle banche troppo grandi per fallire, dalle banche gigantesche che hanno attivi che spesso sono superiori al PIL della loro nazione d’origine, e che quindi gli Stati sono costretti (almeno in parte) a salvare in caso di crisi per non fare crollare tutta l’economia. I provvedimenti europei preparano così il terreno per la prossima grande crisi finanziaria.

    Le istituzioni europee hanno finora di fatto protetto le banche tedesche e francesi a scapito di quelle italiane e dei paesi periferici. Il caso della bad bank italiana lo dimostra. È noto che le banche italiane, nonostante i lauti profitti che tuttora alcuni istituti italiani distribuiscono ai loro azionisti, hanno una pesante zavorra che può affondare parecchie di loro: hanno 350 miliardi di crediti in sofferenza (cioè dubbi) di cui 200 circa praticamente persi[3].

    Il totale dei finanziamenti che faticano a essere restituiti dai clienti corrisponde a circa il 23 per cento dello stock di credito erogato fino a giugno 2015 dalle banche italiane, pari a 1.532 miliardi. Vale a dire che poco meno di un quarto dei crediti erogati dalle banche italiane sono a rischio, se non persi per sempre. I finanziamenti non rimborsati dalle imprese sono pari a oltre 288 miliardi, quelli dalle famiglie a quasi 60 miliardi. Del resto è chiaro che quando l’economia reale va male a causa dell’assurda politica europea dell’austerità, e quando le aziende chiudono o falliscono, anche le banche perdono i loro crediti e sono a rischio.

    Per alleviare il peso delle sofferenze bancarie, che non permettono alle banche nazionali di allargare la borsa del credito per le famiglie e le piccole e medie imprese, il governo ha proposto alla Commissione europea la creazione di una bad bank, una “cattiva banca” su cui scaricare le perdite. In pratica il governo – attraverso una società creata appositamente – comprerebbe i crediti deteriorati per salvare le banche in crisi, rivendendo poi questi titoli eventualmente ad altri operatori specializzati.

    La Commissione UE ha però finora negato il permesso alla creazione della banca cattiva con la motivazione che finanziare la bad bank sarebbe un aiuto di Stato. In questo caso la discriminazione è evidente e inaccettabile. A partire dal 2008, infatti, molti altri Stati europei (salvo l’Italia) sono intervenuti per salvare le loro banche impegnando centinaia di miliardi di soldi dei contribuenti.

    Secondo il Sole 24 Ore tra l’1 ottobre 2008 e l’1 ottobre 2014 la Commissione ha adottato oltre 450 decisioni di autorizzazione di aiuti pubblici nazionali a favore delle banche[4]. Soltanto per quel che riguarda le garanzie, l’ammontare degli aiuti autorizzato è stato pari a oltre 3.800 miliardi di euro (29,8 per cento del PIL dell’Europa nel 2013). Sono numeri impressionanti, anche se la somma effettivamente utilizzata dalle banche è stata pari a circa un quarto di tale importo. E a tali cifre, si devono aggiungere misure di ricapitalizzazione pari a oltre 821 miliardi, il 6,3 per cento del PIL 2013.

    Germania, Francia, Inghilterra, Portogallo, Irlanda e Spagna sono i paesi che hanno beneficiato maggiormente dell’apertura europea agli aiuti di Stato. Alla Germania e alla Francia questi aiuti di Stato sono stati concessi senza che la Commissione UE neppure accennasse a una minima opposizione; ora invece impedisce manovre analoghe – e però assai più blande e meno costose – da parte del governo italiano.

    Secondo il Financial Times il bubbone dei crediti bancari inesigibili scoppierà presto e potrebbe portare l’Italia fuori dall’Europa. Ma il nostro ministro dell’economia Pier Carlo Padoan ci rassicura che sta lavorando in spirito di piena collaborazione con la Commissione UE… per risolvere il problema! Padoan continua a cercare e a chiedere collaborazione all’Europa che però non risponde in maniera altrettanto cooperativa. Comunque non si comprende perché, in nome dell’Europa unita, la finanza italiana dovrebbe prendere ordini ed essere condizionata dai suoi concorrenti!

    Una unione bancaria senza Fondo pubblico europeo

    In partenza l’unione bancaria era stata idealmente concepita per realizzare un unico fondo pubblico europeo in grado di provvedere alle ristrutturazioni bancarie in caso di crisi sistemiche. Ma la Germania non ha voluto introdurre nessun fondo comune per non mettere a rischio le sue finanze risolvendo i problemi altrui.

    Tutta l’unione bancaria è quindi nata male, senza alcuna volontà di cooperazione. Il progetto di unione bancaria aveva inizialmente un obiettivo: proteggere i risparmiatori europei con un fondo comune europeo di garanzia, così da evitare la fuga all’estero dei correntisti in caso di una crisi nazionale. Ma Wolfgang Schäuble ha rifiutato ogni meccanismo di mutualizzazione con copertura di fondi pubblici: quindi il progetto non risolve nulla, anzi peggiora drasticamente la situazione attuale.

    Il sistema bancario dovrebbe risollevarsi da solo in caso di crisi sistemica, senza finanziamenti pubblici europei. Dovrebbe cioè fare come il barone di Münchhausen, che cercava di sollevarsi tirandosi per i capelli. Grazie a Schäuble i privati (azionisti, obbligazionisti e correntisti con oltre 100mila euro di deposito) si faranno carico in prima persona delle difficoltà delle banche in crisi, poi interverranno i fondi nazionali creati dalle banche stesse, e infine tra dieci anni interverrà anche in ultimissima istanza un esiguo fondo europeo di 55 miliardi sempre di origine bancaria – cioè solo lo 0,2 per cento circa del patrimonio complessivo delle banche europee, anche se si prevede che le banche dovranno ricapitalizzarsi per circa 100 miliardi.

    Per rispettare i criteri prudenziali dettati dalle istituzioni europee, le banche italiane sono state costrette ad aumentare il loro capitale come garanzia di solvibilità in caso di crisi. Lo Stato italiano non è intervenuto se non marginalmente per finanziare le banche in difficoltà (a parte i 4 miliardi dei cosiddetti “Tremonti bond”, già restituiti). Quindi gli istituti nazionali sono stati obbligati (e sono tuttora in parte obbligati) a chiedere soldi al mercato. Tuttavia, dal momento che gli operatori italiani non hanno molti soldi da rischiare nel settore bancario (le fondazioni bancarie sono state le uniche a immettere decine di miliardi per rafforzare gli istituti di credito nazionali) le banche hanno dovuto – e devono – ricorrere anche e soprattutto a operatori stranieri, americani, francesi, arabi, anglosassoni, cinesi, ecc.

    Attualmente per esempio il gigante americano BlackRock è azionista di Intesa Sanpaolo e Unicredito; il fondo sovrano degli Emirati Arabi, Aabar, è il primo azionista di Unicredito; la società messicana Fintech Advisory è il primo azionista di MPS, insieme alla francese AXA, alla brasiliana Fintech Pactual, a BlackRock, People’s Bank of China, ecc. Gli azionisti italiani rischiano di diventare sempre più minoritari rispetto a quelli esteri, che stanno diventando i soci di riferimento delle principali banche italiane. Così le finanziarie estere controllano in maniera crescente il risparmio italiano.

    Tutto questo non solo a causa della crisi italiana e della debolezza delle banche nazionali, ma anche a causa delle norme dell’Unione europea (e di un governo che non ha chiesto deroghe per gli aiuti di Stato quando tutti le chiedevano). L’unione bancaria è la dimostrazione di come il governo tedesco CDU-SPD vuole l’Unione europea: una unione centralizzata, diretta dalle élite finanziarie tedesche, a vantaggio esclusivo della Germania e a svantaggio degli altri paesi deboli e debitori del sud Europa. Una unione foriera di crisi senza fine. Il dramma è che non esiste alcun statista europeo in grado di opporre una cooperazione solidale ed efficace di fronte alla visione unilaterale tedesca.

    Il colpo di grazie lo propone ancora una volta Schäuble in persona: questi infatti chiede che i titoli di Stato in pancia alle banche – che attualmente rappresentano il loro patrimonio di garanzia – vengano pesati diversamente sul piano contabile in base alla loro nazionalità. I titoli tedeschi varrebbero quindi di più sul piano patrimoniale dei titoli italiani o francesi: in questo modo le banche italiane e dei paesi europei più deboli – che detengono gran parte dei titoli emessi dai loro Stati – sarebbero automaticamente svalutate e diventerebbero facile preda dei capitali stranieri più forti.

    Governo e Cassa Depositi e Prestiti dovrebbero difendere il sistema bancario italiano

    Che cosa potrebbe e dovrebbe fare il governo di fronte a questa situazione? Dovrebbe opporsi politicamente a questa Europa che danneggia l’Italia. Dovrebbe opporsi esplicitamente e duramente ai piani europei e alle direttive europee. La Cassa Depositi e Prestiti di Claudio Costamagna e Fabio Galla, controllata all’80,1 per cento dallo Stato italiano e per il 18,4 per cento dalle Fondazioni, dovrebbe entrare nel capitale delle principali banche di interesse nazionale per garantire che il risparmio nazionale rimanga in mano a operatori nazionali.

    Tra l’altro una banca pubblica potrebbe chiedere finanziamenti a tassi bassissimi alla BCE e, in caso di necessità, comprare titoli di Stato italiani calmierando il mercato e contrastando volatilità e incertezza. Sarebbe una garanzia preziosa per la sostenibilità del debito pubblico. E finalmente per erogare credito alle piccole e medie imprese e alle famiglie.

    Non bisogna gridare allo scandalo: il governo e i Länder tedeschi controllano una buona fetta azionaria delle banche tedesche; lo Stato francese è già azionista di alcune delle principali banche francesi. In Germania oltre la metà del sistema bancario è in mani pubbliche. Esempio: Commerzbank, il secondo istituto tedesco, ha lo Stato come azionista di maggioranza. Mentre in Italia il governo si è rifiutato di intervenire nel capitale di MPS per paura ideologica della pubblicizzazione delle banche: in Italia privato è sempre bello, pubblico è sempre brutto.

    La CDP potrebbe intervenire nella finanza italiana anche grazie all’emissione di “moneta fiscale”: ovvero obbligazioni con valore fiscale, valide cioè – grazie ad un accordo con lo Stato – anche per pagare le tasse[5]. Grazie alle nuove risorse derivate dalla moneta fiscale, lo Stato potrebbe finalmente difendere il risparmio e l’economia nazionale da operatori esteri che (ovviamente) cercano solo di estrarre il massimo tasso di profitto dall’attività bancaria e non tengono in conto gli interessi e il benessere della comunità nazionale.

    Ma l’opposizione che fa? Se le forze di opposizione al governo avessero la minima consapevolezza di quanto sta succedendo, dovrebbero denunciare con forza questa unione bancaria che danneggia grandemente il risparmio e i cittadini italiani.

    Pubblicato su MicroMega-online il 30 novembre 2015.  

    —

    [1] Wolfgang Münchau, Financial Times, “Italy’s economic recovery is not what it seems”, 15 novembre 2015.

    [2] Federico Fubini, la Repubblica, “Lettera segreta di Draghi alla Ue: No al giro di vite sui bond bancari. Bce contro la Bundesbank: pericolose le nuove regole europee sui bilanci degli istituti di credito”, 19 ottobre 2013.

    [3] Vedi, per esempio, AGI, “Banche, crediti deteriorati e sofferenze a 348 miliardi”, 9 Novembre 2015.

    [4] Vedi Alessandro Plateroti, Il Sole 24 Ore, “Banche italiane, giri di valzer europei sull’aiuto di Stato”, 22 novembre 2015

    [5] Enrico Grazzini, MicroMega-online, “La Cassa Depositi e Prestiti nel mirino di Renzi: ma CDP potrebbe emettere titoli-moneta per risollevare l’economia malata”, 16 giugno 2015.

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