Roma – “Le missioni civili dell’Unione europea sono un importante strumento per rafforzare l’azione esterna” dell’Unione europea. Il sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova, ne è convinto al punto da aver fortemente voluto l’organizzazione dell’incontro ‘Civili in missione’, un appuntamento ospitato oggi e domani dalla Farnesina, in collaborazione con lo Iai, l’Istituto affari internazionali, per mettere a confronto esperienze, condividere le migliori pratiche e individuare proposte per rendere ancora più efficace l’impiego di diplomatici ed esperti in parallelo alle operazioni militari internazionali nei teatri di crisi.
Quali sono i campi d’azione delle missioni civili dell’Unione europea?
Sono missioni che accompagnano quelle militari dove c’è bisogno di costruire o ricostruire un tessuto istituzionale che consenta di lavorare per la stabilità e la ripresa dei meccanismi democratici. Un compito che l’Europa assume con le missioni nell’ambito della Politica estera e di sicurezza comune. Sono fatte con diplomatici e personale preparato per questi compiti. Purtroppo, questo tipo di missioni a volte non viene considerato come invece lo sono gli interventi militari.
Si riferisce a una scarsa considerazione mediatica o il discorso vale anche sul piano politico?
C’è un aspetto mediatico, ma ce n’è anche uno politico. Anche se fortunatamente il terreno si sta recuperando, perché si è visto che alcune missioni che hanno puntato esclusivamente sull’aspetto militare hanno incontrato enormi difficoltà sul piano della cooperazione alla ricostruzione istituzionale. Nessuno pensa che le missioni civili possano sostituire quelle militari. Tuttavia è sempre più chiaro che, se accanto ai dispositivi militari non c’è una capacità di forze civili di cooperazione, ad esempio nelle operazioni di ‘State building’, anche le azioni militari diventano inefficaci nel medio lungo periodo.
Affiancare operazioni civili a quelle militari aiuta le relazioni con le istituzioni e le popolazioni locali?
Credo di sì. Prendiamo l’esempio del Kosovo, dove la guida della missione Eulex è italiana. L’intervento militare è stato decisivo e la presenza di soldati garantisce la sicurezza. Però, nel medio periodo, la stabilità e la sostenibilità della sicurezza e della pace, così come l’avvio dei processi istituzionali, richiedono un investimento di ‘know how’ e la presenza di civili che abbiano queste competenze specifiche. Nel caso del Kosovo questo è avvenuto dopo l’intervento militare, ma sempre più ci si rende conto che, quando la comunità internazionale decide di intervenire, di mettere sul terreno forze militari, diventa tutto più efficace se viene affiancato anche da missioni civili. In questo modo è più facile raggiungere l’obiettivo comune di contribuire alla stabilità, alla pace, alla sicurezza e ai processi istituzionali.
Qual è il contributo del nostro Paese alle missioni civili dell’Ue? Come ci collochiamo rispetto agli altri partner?
Noi partecipiamo con una settantina di professionisti distribuiti in 15 aree di crisi. Il nostro è un contributo importante. A livello qualitativo, poi, è un dato di fatto che i diplomatici e gli esperti italiani abbiano dei riconoscimenti che in alcuni casi li portano a guidare le missioni, e sempre ad avere una valutazione positiva del lavoro che svolgono.