E’ passato un mese da Parigi. Bono ci scrive una canzone che si titola SOS: streets of surrender, le strade della resa. Non è del tutto chiaro cosa voglia dire. Ma la memoria va a un’altra canzone, oltre 50 anni fa, scritta da Bob Dylan e suonata anche dai Byrds di Los Angeles. Era the chimes of freedom flashing e parlava di “guerrieri la cui forza è non combattere” e “rifugiati disarmati in fuga”. I menestrelli dell’America degli anni 60 avevano in mentre i loro coetanei che non volevano andare a combattere in Vietnam e i profughi che scappavano dalla guerra in Indocina. Un soldato la cui forza è non combattere è un soldato che si arrende. Infatti dieci anni dopo finì con la fuga precipitosa dei marines da Saigon. Ma i Vietcong non avevano invaso l’America, volevano solo essere padroni a casa loro. Il caso di Parigi è un po’ diverso. Quale è – se ce n’è una – la profezia di Bono? Lasciamo la domanda aperta, ma possiamo notare che si presta a qualche riflessione dopo che da un mese l’Europa è in massima allerta e anche l’America sta cominciando a preoccuparsi che la rete di protezione messa in piedi dopo l’11 settembre abbia dei buchi. In passato, recente e remoto, quando si verificava un attacco come quello di Parigi, chiaramente riconducibile a un gruppo etnico, politico o religioso, si scatenava la caccia all’uomo. Non solo da parte delle forze dell’ordine, come è accaduto in queste settimane, ma anche da parte di gruppi che si sentivano minacciati e reagivano in cerca di vendetta. In passati non troppo lontani, episodi anche meno sanguinari scatenavano pogrom con migliaia di morti alle spese dei presunti colpevoli. Questa volta nulla. Ma proprio nulla. Neanche una folla che crede di riconoscere un possibile attentatore e lo insegue per strada in qualche capitale europea. Neanche, per dire, una ronda padana.
Eppure, negli ultimi anni, non sono mancati episodi di mobilitazione anche violenta nei confronti di minoranze o gruppi ritenuti pericolosi. Anche se molto meno minacciosi dell’Isis. Come, per fare un esempio, i nomadi. Questa volta (anche per fortuna, diciamo) nulla. Immobilismo assoluto. Vuol dire che anche i più esaltati sono diventati maturi e acculturati cittadini occidentali? O magari che questa volta il nemico fa talmente paura che prevale l’idea che sia meglio non andare a stuzzicarlo? Se un leghista con un passato nelle ronde incontra per le strade di Milano un tipo che gli sembra sospetto cosa fa: si mette a gridare al terrorista o cambia marciapiede? Forse c’è qualcosa di più grande e più complesso. Tutto sommato Parigi non ha cambiato le nostre vite. A Londra, Madrid e Francoforte si pensa allo shopping per il Natale che sta per arrivare, tutto sommato gli attacchi di Parigi ci hanno emozionato davanti ai televisori, ma non hanno scalfito il nostro benessere e le nostre tutto sommato piacevoli abitudini. Forse ci possiamo convivere, come con il riscaldamento globale, gli scioperi dei mezzi pubblici, i ritardi dei treni e la sconfitta della squadra del cuore. Sembra che Parigi non abbia avuto l’effetto di trasformare in guerrieri pronti alle armi pacifici cittadini che non conoscono una guerra da quasi tre generazioni, ma quello di trasformare in tranquilli pantofolai i guerrieri a parole che invadono i talk show radiofonici.
E poi c’è l’economia. Gli attacchi di Parigi non hanno avuto l’effetto di far tirar giù le saracinesche dei negozi, né nella capitale francese né nelle altre. Ma se le città europee si trasformassero in campi di battaglia allora sì che sarebbe un disastro per consumi e occupazione. Non siamo attrezzati, né mentalmente né materialmente. E l’italiano Renzi interpreta il pensiero di molti in Europa dicendo che non si mette a rincorrere i bombardamenti altrui. In qualche modo estende il concetto: non vado a stuzzicarli neanche a casa loro. Almeno fino a che non è chiaro a) se abbiamo un piano per vincere e b) se soprattutto abbiamo un piano per il dopo. Funziona? Per ora si direbbe di sì. Un’Europa che reagisce senza pogrom (parola grossa) agli attacchi che la minacciano al cuore da parte di schegge impazzite, ma ben organizzate, di una minoranza, è una buona notizia. I pogrom cementerebbero la minoranza con le schegge con effetti devastanti. Finora non ci sono stati pogrom, ma neppure le rivolte incendiarie delle banlieue parigine come nel 2005. Forse quello che non è riuscito alle politiche di multiculturalismo e accettazione delle diversità riesce come effetto indesiderato ai pazzi scatenati autori degli attacchi. Quando un giovane musulmano britannico vede in tv le immagini del poveraccio andato all’assalto all’arma bianca in metropolitana per essere subito neutralizzato dalla polizia domenica 6 dicembre cosa gli succede? Scatta il desiderio di imitarlo? O la voglia di somigliarli il meno possibile?
Tutto sommato la stragrande maggioranza dei musulmani immigrati ha trovato in Europa un mondo migliore, prima di tutto economicamente. Gli conviene davvero dargli fuoco?