di Andrea Terzi
Un problema che si riaffaccia
Dei saldi TARGET2 si era parlato, anche troppo, durante la tempesta monetaria del 2011-12. La crisi di fiducia nella moneta unica si era manifestata nei massicci spostamenti di depositi da quella che ormai siamo abituati a chiamare periferia (Spagna, Italia, Grecia, Irlanda e Portogallo) verso il nocciolo duro, il “core”, dell’unione monetaria (Germania, Lussemburgo, Olanda e Finlandia).
L’ampliarsi delle differenze dei saldi TARGET2 tra le diverse banche centrali nazionali rifletteva la gravità della condizione in cui versava il sistema dei pagamenti europeo. L’allarme cessò (vedi grafico) con il celebre “whatever it takes” di Mario Draghi che si tradusse in pratica nella creazione dello strumento delle Outright Monetary Transactions (OMT).
La crisi di fiducia di oggi, non più tecnica, è decisamente politica. Manca la determinazione nel voler costruire un’alternativa alla gestione del debito che condanna l’eurozona a restare il fanalino di coda del treno (già piuttosto precario) della crescita mondiale, rischiando un’implosione politica sotto i colpi della stagnazione che mal si combina con l’emergenza di dover dare risposte concrete al problema dei flussi migratori.
In questo contesto, le differenze tra i saldi TARGET2 si stanno nuovamente ampliando, ed è interessante chiedersi se ciò rappresenti un nuovo campanello d’allarme sulla tenuta “tecnica” della moneta unica.
TARGET2 e le banche europee
È bene innanzitutto ricordare che TARGET2 è la piattaforma che le banche dell’eurozona utilizzano per gestire i pagamenti (in entrata e in uscita) nei confronti di altre banche, delle amministrazioni pubbliche o dell’Eurosistema (ovvero BCE e banche centrali nazionali). Ma è anche qualcosa di più: è il dispositivo che ha trasformato una spesa di un italiano a Parigi o a Berlino in una spesa “interna” e non più “estera”, non diversa da una spesa effettuata nel proprio quartiere.
Su quella piattaforma transita, ogni settimana, un flusso di pagamenti pressappoco uguale a quello del PIL annuale dell’Eurozona. Ciò significa che il denaro elettronico che le banche utilizzano per i regolamenti reciproci (impropriamente indicato col nome di “riserve”) si muove ad altissima velocità. Quando una banca ne accumula troppo (perché i propri clienti ricevono più pagamenti di quanti ne eseguono), la banca preferisce prestarlo a un altro istituto bancario in cerca di denaro. È il mercato, bellezza!
Ma nel 2011-12, il mercato si arrestò. Le banche spagnole e italiane si trovarono a dover regolare i propri pagamenti senza poter più contare sui prestiti da parte degli istituti del Nord Europa e si rivolsero perciò alle proprie banche centrali, come prevede il normale funzionamento del sistema dei pagamenti.
Il risultato fu che la posizione netta delle banche tedesche nei confronti della Bundesbank saliva e la posizione netta della Bundesbank nei confronti dell’Eurosistema (ovvero il “saldo TARGET2”) aumentava di altrettanto. Si indebitavano le banche con la Banca d’Italia e diminuiva la posizione netta della Banca d’Italia verso l’Eurosistema. Ciò accadeva prima delle OMT (vedi grafico).
E oggi? Il fenomeno appare del tutto diverso. E si lega al programma di acquisti della BCE (partito a novembre dello scorso anno) e ai tassi negativi. Quando vendono titoli all’Eurosistema, le banche ricevono denaro elettronico. Ora, se le vendite di titoli si distribuissero uniformemente nel sistema bancario europeo, non ci sarebbero effetti di rilievo su TARGET2. Ma i dati e le informazioni disponibili ci dicono che a vendere sono state finora soprattutto le banche “core”, per conto proprio e dei propri clienti (inclusi quelli esterni all’eurozona che vendono attraverso le proprie banche corrispondenti nel Nord Europa).
Se è così, la liquidità in eccesso in Germania dovrebbe comunque distribuirsi nel sistema bancario europeo grazie al mercato interbancario. Ma ciò non accade. Prendiamo una banca italiana che cerca liquidità per le proprie esigenze correnti. Ai tassi ufficiali attuali, ottiene denaro dalla Banca d’Italia allo 0,05 per cento, ovvero a un costo inferiore a quello che la banca tedesca esige per proteggersi dal rischio di controparte. Di conseguenza, la posizione netta della Banca d’Italia scende e sale quella della Bundesbank.
Se ne deduce che esiste ancora un premio di rischio non trascurabile sulle banche italiane, ancorché ben lontano dalla situazione drammatica di quattro anni fa; e che l’attività sul mercato interbancario è rarefatta dalla liquidità creata dal programma di acquisti e dal fatto che il tasso MRO (Main Refinancing Operations) è prossimo a zero.
È verosimile che se la BCE ritoccasse allo 0,30-0,35 per cento il tasso negativo (che altro non è che una tassa sulle banche) qualche volume in più si potrebbe vedere (il 3 dicembre il tasso negativo è effettivamente stato portato allo 0,30 per centro, ndr). Ma una tassa sui depositi ancora più salata farebbe soprattutto male alle banche “core”, che del tasso negativo sono le prime vittime.
D’altra parte, la motivazione del tasso negativo è una sola: tenere basso il valore dell’euro. È la strategia che consente a Draghi di essere coerente col mandato della BCE (che esige un’inflazione un po’ più alta di quella attuale) e alimentare l’unica componente di domanda che tiene a galla l’eurozona, ovvero la domanda estera. Almeno finché dura. Insomma, più che dei saldi TARGET2, dovremmo preoccuparci della mancanza di progettualità politica e dei tassi negativi che ne sono una conseguenza.
Pubblicato su lavoce.info l’1 dicembre 2015.