di europainmovimento.eu
Una decina di giorni fa il primo ministro britannico David Cameron ha pubblicato la lettera inviata al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk con le richieste di riforma dell’Unione europea avanzate dal suo governo in vista del referendum (previsto nel 2017) su una possibile uscita del Regno Unito dalla stessa UE.
Né la lettera né il suo contenuto sono giunti inaspettati: la prima era attesa da tempo e il secondo era già discusso da tempo a livello di governi come di istituzioni europee e di opinione pubblica. I tristi fatti di Parigi di poco successivi hanno tuttavia oscurato l’una e l’altro, ma li vogliamo riprendere qui perché su di essi si giocano la natura e il futuro dell’Unione europea.
Innanzi tutto – a differenza di quanto sembra in alcuni resoconti[1] – Cameron non chiede semplicemente ulteriori opt-out o deroghe per il Regno Unito da decisioni prese dall’UE. La richiesta che assomiglia di più a un opt-out si trova nel terzo punto dedicato alla sovranità, laddove si chiede di «terminare gli obblighi della Gran Bretagna nei confronti dell’obiettivo di “un’unione sempre più stretta” così come espresso nel Trattato». Per il resto Cameron chiede una riforma generale dell’Unione senza dare l’impressione (come ci si può ben aspettare dal capo di governo di un paese che non ha una costituzione scritta) di riaprire una partita così complicata come quella dei Trattati, i quali sono infatti menzionati solo due volte: la prima nella citazione sopra, e la seconda verso la chiusura della lettera, quando si auspica che la medesima possa costituire «una base chiara per raggiungere un accordo che ovviamente dovrebbe essere giuridicamente vincolante e irreversibile – e laddove necessario avere validità nei Trattati».
I Trattati, in altri termini, sono chiamati in causa unicamente per prendere atto di un accordo ad hoc raggiunto nella migliore tradizione intergovernativa, gentiluomini e gentildonne, ciascuno rispondente al proprio elettorato nazionale, che si riuniscono nelle segrete stanze e deliberano una riforma «ragionevole e rispondente agli interessi più ampi dell’Unione europea nel suo complesso».
Ma cosa comporta tale riforma per il popolo europeo? Andiamo a vedere. («Ehi! Ma di quale popolo europeo si va blaterando? Un popolo europeo non esiste… Esiste il popolo italiano, francese, polacco, danese….». Risposta: «Nel momento in cui certe leggi e regolamenti hanno validità per la popolazione di un dato territorio, quella popolazione cessa di essere un’orda indistinta ma costituisce un popolo. Il quale (come già in passato) può anche essere privo di diritti civili o politici e non sentirne nemmeno la mancanza. Per di più i deputati al Parlamento europeo sono raggruppati in partiti politici sovrannazionali europei (non in base ai paesi di provenienza) perché si presuppone rappresentino il popolo europeo. Quindi il popolo europeo esiste, anche istituzionalmente. Solo che è troppo abituato a farsi prendere a calci in faccia per rendersi conto persino della sua stessa esistenza»).
Nella prima sezione, intitolata “Governance economica”, si affermano principi generali a salvaguardia degli interessi dei paesi al di fuori dell’eurozona e dell’integrità del mercato unico. La distinzione netta qui prospettata tra mercato unico ed eurozona risulta certo allettante per quanti vorrebbero proseguire nell’integrazione europea, lasciando nel “mercato unico” comune quei paesi che invece vorrebbero stare in “Europa” semplicemente come area di libero scambio, senza interferenze o veti reciproci. Ma al di là di alcune considerazioni che verranno fatte in seguito, sono le altre proposte di riforma delineate da Cameron per “l’Unione europea nel suo complesso” che renderebbero molto difficile, se non impossibile, un approfondimento dell’integrazione nei paesi dell’eurozona in senso sociale, politico e democratico.
Nella seconda sezione, dedicata alla “Competitività”, si esprime soddisfazione per il perseguimento dei «trattati commerciali con l’America, la Cina, il Giappone, l’ASEAN» (ossia TTIP e affini, coerentemente con l’impostazione di Cameron, in quanto si darebbe il colpo di grazia a ogni idea di spazio sociale e politico democratico europeo) e per l’argine che si è riusciti a opporre al «flusso di nuove regolamentazioni». “Regolamentazioni” qui è una parola tutt’altro che innocente, ha una storia e un significato affine a “lacci e lacciuoli” in italiano e si riferisce innanzitutto alla salvaguardia dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori.
Infatti Cameron aggiunge poco dopo che «il peso delle regolamentazioni attuali è ancora troppo alto» e chiede «il taglio del peso totale sulle imprese». Inoltre «l’UE dovrebbe fare di più per mantenere il suo impegno nei confronti del libero movimento di capitali, merci e servizi». Ma come, non c’erano una volta anche le persone, la cui libera circolazione, nella formulazione del Trattato di Roma, costituiva una delle quattro libertà fondamentali del mercato comune? Non nel mondo nuovo prospettato da Cameron a tutta l’UE. Per la circolazione delle persone – che, ricordiamo, è stata il fondamento dei diritti di cittadinanza europea, l’esempio più concreto di cosa significasse essere europei, il punto di partenza per immaginare un’Europa federale – si rimanda alla quarta sezione, alla voce “Immigrazione”.
In questa sezione si riprendono temi e motivi di precedenti iniziative che avevano visto al centro il Regno Unito (e non solo)[2] soprattutto all’approssimarsi della fine delle restrizioni alla libertà di movimento per i cittadini bulgari e romeni. Ossia l’allarme per la quantità dei flussi migratori e per le frodi da “turismo del welfare” (che già in passato un rapporto della Commissione europea aveva ritenuto esagerato)[3] e la volontà di riaffermare il controllo dell’accesso al proprio paese anche per i migranti provenienti da altre nazioni UE per ripristinare «un senso di giustizia verso il nostro sistema di immigrazione».
Specificamente Cameron propone l’esclusione dei nuovi membri UE dalla libera circolazione delle persone «finché le loro economie non convergano in misura molto più netta con quelle degli attuali Stati membri», misure più dure contro le frodi del welfare o i finti matrimoni, il requisito di quattro anni di residenza stabile e di versamento dei contributi per avere diritto al welfare, e un vago accenno alla necessità di «affrontare il problema delle sentenze della Corte di giustizia europea che hanno ampliato la dimensione della libera circolazione in una maniera che ha reso difficile prendere di petto questo tipo di abusi». Il tono è certamente più interlocutorio; Cameron sa che il tema è controverso all’interno della UE e cerca di essere conciliante accentuando la specificità britannica riguardo alla questione ed evitando di parlare in termini generali. È chiaro comunque che la libera circolazione delle persone cessa di essere una “libertà fondamentale” su cui fondare i diritti di cittadinanza europea e diventa condizionata dal reddito individuale e dal PIL del paese di provenienza.
Infine la terza sezione, che tratta della “Sovranità”. Si è già detto della richiesta di opt-out dal perseguimento di “un’unione sempre più stretta”. Un altro punto riguarda l’impegno a una completa realizzazione della sussidiarietà, in particolare la rassicurazione che delle questioni relative alla sicurezza nazionale siano unicamente responsabili i singoli Stati, fatta salva la cooperazione su questioni riguardanti la sicurezza di tutti. Il piatto forte tuttavia riguarda la richiesta della possibilità da parte di un gruppo di parlamenti nazionali (la soglia precisa sarà oggetto di negoziazione) di bloccare leggi europee ad essi sgradite. Viene ribadita cioè la visione euroscettica secondo cui l’unico piano realmente legittimo è quello nazionale, e pazienza se in questo modo un gruppo di paesi si arroga il diritto di passare sopra la testa di tutti gli altri, come ancora nella migliore tradizione intergovernativa. A questa richiesta invero il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz ha già posto dei paletti[4], sostenendo che questo ruolo dei parlamenti nazionali va esercitato sì, ma nei confronti dei propri governi e non delle istituzioni europee.
Cameron combina dunque un apparente basso profilo nella modifica dei Trattati (sapendo che per gli altri governi mettere mano ai Trattati è come scoperchiare il vaso di Pandora) con la riproposizione di temi da tempo cari all’euroscetticismo, specie di destra, ma non estranei alla retorica o alle stesse intenzioni di gran parte dei governi e delle élite politiche nazionali: l’UE come grande spazio consegnato all’impresa, alla concorrenza, al mercato, e alle stesse politiche fallimentari che hanno devastato o mortificato l’Europa negli ultimi decenni, con la cittadinanza sociale e politica ridotta al minimo e declinata gelosamente “al nazionale” e con pochi o nulli legami di solidarietà transnazionale.
In questo contesto appaiono vistosamente assenti Stati che intendano impegnarsi a proseguire nell’integrazione europea anche nella dimensione della cittadinanza, ed approfittare quindi dell’iniziativa di Cameron per costituire il nucleo forte di una potenziale federazione. A considerare le schematizzazioni delle posizioni dei vari paesi della UE così come emergono da cartine[5] o da sintesi di analisti (quali quelle raccolte per più giorni dal blog Social Europe Journal sotto il titolo “European Views on the UK’s Renegotiation” nel mese antecedente alla pubblicazione della lettera di Cameron), manca il senso di un progetto comune sulla base dell’appartenenza all’eurozona o del gruppo dei paesi fondatori. Non pochi politici governativi di quest’ultima area sarebbero solo felici di sbarazzarsi dagli impegni “quasi costituzionali” assunti in passato, dall’“unione sempre più stretta” alla libera circolazione delle persone, e l’iniziativa di Cameron potrebbe ben dar loro l’occasione.
Tuttavia, se i governi sono incerti e divisi, anche l’opinione pubblica dei singoli paesi resta frammentata e poco assimilabile tout court alle sue élite. Questo dà ai movimenti che si battono per un’Europa sociale e democratica significative opportunità di perseguire i propri obiettivi allargando la rete dei propri interlocutori e costruendo alleanze per rintuzzare i rischi di regressione insiti nelle proposte di Cameron. Proprio nel Regno Unito i sindacati hanno dichiarato che voteranno per il “Brexit” se l’UE acconsentirà alle richieste di Cameron sacrificando i diritti dei lavoratori[6]. Una posizione sicuramente discutibile[7], ma che comunque ha il merito di dare urgenza ai contenuti sociali dell’integrazione europea, e sarebbe colpevole da parte dei sindacati e delle forze progressiste in Europa lasciare cadere questa sfida.
Allo stesso modo, come appare dai contributi in “European Views on the UK’s Renegotiation”, se i paesi dell’ex Europa dell’Est sono in generale pronti ad appoggiare Cameron nella sua crociata contro le “regolamentazioni”, sono comprensibilmente ostili alla richiesta di restrizione della libera circolazione delle persone. Sarebbe, questa, un’ottima occasione per riprendere le fila di un discorso europeista con questa parte del continente che siamo spesso pronti a criticare in quanto pare mettersi continuamente di traverso alle magnifiche sorti e progressive dei nostri progetti, ma di cui non siamo stati capaci di prendere sul serio nemmeno i loro diritti di cittadini europei. Le associazioni dei migranti sono ad esempio una risorsa trascurata dall’europeismo tradizionale.
In conclusione a lettera di Cameron apre certamente delle opportunità. L’opportunità di ribattere alla sua idea di Europa con la nostra idea di Europa, rivolta a tutto il continente. L’opportunità di rivoltare le sue proposte in senso democratico ed europeo (questa volta Schulz sembra averla detta giusta). E l’opportunità, certo, di aprire la strada a nuove dinamiche di integrazione per i paesi che ci stanno. Ma quest’ultima potrà di fatto realizzarsi solo se le altre due opportunità saranno state adeguatamente colte.
Pubblicato su europainmovimento.eu.
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[1] Per esempio http://www.affaritaliani.it/blog/paese-che-vai-affari-che-trovi/brexit-cosa-c-e-dietro-alle-richieste-di-cameron-a-donald-tusk-ue-393091.html?refresh_ce.
[3] http://www.euractiv.com/socialeurope/little-evidence-benefit-tourism-news-531128.
[6] http://leftfootforward.org/2015/05/eu-red-tape-protects-workers-rights/.