di Maurizio Sgroi
Come sempre accade quando si muove qualcosa ai piani alti della burocrazia europea, la creazione del Comitato europeo per le finanze pubbliche, decisa lo scorso ottobre, è stata accompagnata da un fragoroso silenzio. E non tanto perché non ce lo dicano: i documenti che istituiscono questo organismo sono tradotti in svariate lingue. E c’è anche un’ampia relazione che accompagna questa decisione che in qualche modo ha una portata storica.
Il silenzio dipende dal fatto che questa materia è terribilmente noiosa. La visione europea corrente è infarcita di tecnicismi, giuridici ed economici, e finisce che uno, che pure abbia voglia di leggere questa roba, si perda nei codici e nei codicilli, oltre che finire stordito da una narrazione assai poco entusiasmante.
Il potere soporifero dei documenti pubblici europei è un ottimo anestetico per la nostra capacità di comprendere. Sicché mi sono imposto una doppia razione di caffè e ho passato un paio d’ore a leggere il malloppo, anche incoraggiato dal fatto che persino la BCE ne abbia fatto menzione nel suo ultimo bollettino economico.
La prima informazione che ne è ho tratto è che, nel silenzio più o meno disinteressato delle opinioni pubbliche, le autorità europee stanno procedendo con passo lento ma fermo verso l’integrazione dell’UEM, ossia l’unione economica e monetaria. L’ultimo aggiornamento del rapporto dei cinque presidenti, che sono quello della Commissione europea, del Consiglio europeo, dell’Eurogruppo, della BCE e del Parlamento, risale a giugno di quest’anno e si propone di arrivare all’inizio del 2017 con un consistente bottino di innovazioni istituzionali.
Staremo a vedere. Intanto però l’approvazione del Comitato europeo per le finanze pubbliche va proprio nella direzione di una maggiore integrazione e sul lato più sensibile dell’UEM: quello fiscale.
E qui il discorso si fa particolarmente noioso. Ricorderete che ormai da alcuni anni l’EZ si è dotata di strumenti di controllo indiretto delle finanze pubbliche dei paesi dell’area, a cominciare dal patto di stabilità e di crescita, per finire con il two-pack e il six-pack. Questi strumenti giuridici costruiscono un apparato alquanto cervellotico di norme e procedure che dovrebbero servire (e mai condizionale fu più d’obbligo) a garantire un certo equilibrio fiscale ai singoli paesi e all’area.
Bene. Il Comitato europeo è la prima conseguenza immediata dell’aggiornamento del piano dei cinque presidenti che fra le altre cose si propone di «rafforzare l’attuale quadro di governance economica» con questa nuova istituzione che «dovrebbe contribuire, a titolo consultivo, all’esercizio delle funzioni della Commissione nella sorveglianza multilaterale della zona euro, fatte salve le competenze della Commissione sancite dai trattati».
Quindi dovrebbe somigliare a una sorta di superconsulente della Commissione, a cui dovrebbe fornire «una valutazione dell’attuazione del quadro di bilancio dell’UE, in particolare per quanto riguarda la coerenza orizzontale delle decisioni e l’attuazione della sorveglianza di bilancio, i casi particolarmente gravi di inosservanza delle norme e l’adeguatezza dell’effettivo orientamento di bilancio a livello nazionale e della zona euro».
Non finisce qui. «Poiché il patto di stabilità e crescita è incentrato sui bilanci nazionali e non specifica l’orientamento di bilancio aggregato, il Comitato dovrebbe contribuire anche a una discussione più circostanziata all’interno della Commissione sulle implicazioni globali delle politiche di bilancio a livello nazionale e della zona euro, al fine di conseguire un orientamento di bilancio adeguato per la zona euro, nel rispetto delle regole del patto di stabilità e crescita».
Quindi, in sostanza, questa entità sarà chiamata a valutare non soltanto la coerenza dei programmi nazionali di bilancio con quanto previsto dai vari trattati ma anche la coerenza stessa delle decisioni di bilancio della zona euro nel suo complesso.
Per svolgere questa attività «dovrebbe svolgere i propri compiti in maniera indipendente ed elaborare pareri in autonomia rispetto a qualsiasi istituzione, organo, ufficio o agenzia nazionale o europea». È previsto che il Comitato collabori con entità simili già previste a livello nazionale, rimanendo tuttavia autonomo rispetto ad esse e quindi assolutamente sovraordinato. Non «chiede né riceve istruzioni da parte di istituzioni o organi dell’Unione, governi degli Stati membri o altri soggetti pubblici o privati». Insomma: agisce in splendida solitudine.
Il Comitato per adesso elargisce solo consigli alla Commissione, però è previsto che elabori un rapporto annuale e che agisca in maniera trasparente circa prese di posizioni e motivazioni. Insomma: non governa, ma crea opinione. È un perfetto ministero ombra delle finanze europee.
In attesa di quello vero.
Pubblicato sul blog dell’autore il 19 novembre 2015.