La forza di Bruxelles è che a tutta questa storia dello stato di allerta in fondo non ci crede. I brussellesi alzano le spalle, storcono la bocca a vedere tanta esibizione di polizia. Lo sanno che non è un posto da terrorismo questo, anzi non è proprio un posto. È la solita storia: Bruxelles è un non-luogo. È a metà strada verso Parigi, Berlino, Londra, Amsterdam. Ma non è una destinazione in sé. Chi viene a Bruxelles è venuto per una riunione di lavoro e riparte la sera o è venuto per andare a vedere anche Bruges e Gand. Bruxelles da sola non vale il viaggio. Napoleone è andato a perdere a Waterloo, a venti chilometri da qui, mica a Bruxelles. Bruxelles non vale neanche una sconfitta. Qui non può succedere nulla di fatale. Così Bruxelles finisce per avere ben poca considerazione di sé. Non è capace di credere in nulla. Non ci crede di essere la capitale d’Europa, e forse alla fine è anche per questo che l’Europa non esiste. Tutto quello che di europeo si decide a Bruxelles in fondo non è vero, è solo una finta. Le decisioni vere si prendono altrove, a Francoforte, a Berlino, a Londra. Bruxelles non ha mai capito bene come fare la capitale del Belgio. Le hanno detto di stare lì in mezzo, di non essere prepotente, di parlare sia in francese che in fiammingo, di fare bella figura coi vertici europei ma di non allargarsi, soprattutto di non allargarsi. “Vado bene così?” sembra chiedere lei ogni tanto. E allora dài che valloni e fiamminghi, almeno in questo unanimi, dicono “Basta! È ora di finirla con questa Bruxelles arrogante! Chi si crede di essere!”.
Così anche oggi a questa allerta terroristica Bruxelles non ci crede. Anzi, neanche i terroristi ci credono. Sono nati qui, abitano qui, si esercitano e si armano qui, si nascondono qui. Ma i loro attentati vanno a farli altrove. A fare un attentato a Bruxelles perderebbero ogni credibilità. Perché un attentato a Bruxelles è il vorrei ma non posso dell’internazionale del terrore. Sono capaci tutti. Da noi si direbbe che è come sparare a uno che sta cagando. La Grand’Place è vuota, i centri commerciali chiusi, la metropolitana ferma. I soldati in gruppi di tre pattugliano le strade. Ma non sembrano soldati belgi, sembrano un esercito di occupazione che ha sbagliato strada. Non dovevano venire qui. Qualcuno gli ha truccato i cartelli. Si aggirano guardinghi e sorpresi sotto il nevischio. Credevano forse di trovare resistenza? La verità è che non erano mai stati a Bruxelles. La scoprono oggi per la prima volta. “Dunque questa è la nostra capitale?” si chiedono perplessi i soldatoni fiamminghi in tuta mimetica e i cacciatori delle Ardenne col basco bordò tutto fradicio. E hanno già fretta di tornare in caserma. Non è mica dei terroristi che hanno paura, no, ma proprio di lei, di Bruxelles. Lo sentono che non è roba loro, che non è figlia di nessuno questa città.
C’è un’aria tetra sui grandi boulevard. Anche il cielo ce l’ha messa tutta per fare paura, con un grigio pesante di neve e di pioggia. I tram sono fermi e spenti sui binari e gli autoblindo dell’esercito sfrecciano loro accanto. Con il sole e le palme potrebbe essere una scena da golpe sudamericano. Ma così sembra una commemorazione scalcinata della battaglia delle Ardenne. I lampi azzurri dei girofari schizzano dall’asfalto ai vetri dei palazzi e ricadono giù in mille rivoli. Come ogni sabato, qualche gruppo di ragazzotti arabi girovaga da un marciapiede all’altro in cerca di struscio. Fumano mozziconi, parlano ad alta voce e giocano a fare gli spavaldi. Chissà, forse hanno per vicino un integralista, forse i loro fratelli maggiori stanno preparando cinture esplosive in qualche scantinato, forse più tardi andranno a pregare in una moschea clandestina. O forse non sono praticanti, chissà, nemmeno mussulmani, magari neanche arabi. Nei quartieri residenziali c’è un po’ più movimento. Qui i negozi sono rimasti aperti. La gente si affretta ai parcheggi dei supermercati, si forma qualche coda davanti alla bottega dei polli arrosto. I poliziotti di quartiere girano scortati dalle forze speciali. Con lo stato d’emergenza non possono più andare fuori da soli, perché non saprebbero impugnare una pistola. Sorridono imbarazzati come se girassero con la badante. Alla televisione vanno e vengono personalità e giornalisti. Passano i servizi che filmano la città stranita. E anche da quelle immagini trapela spudorata la verità: Bruxelles sta facendo finta, ancora una volta non ci crede, non si prende sul serio neanche davanti alla minaccia del terrore. Anzi alla fine tutti sembrano pensare che questa storia dello stato d’emergenza sia una trovata propagandistica del governo cittadino, una mossa per non essere da meno di Parigi. Un tentativo di esistere, di essere un posto vero, insomma.