Roma – “Invece di collaborare di più a livello di intelligence tra gli Stati membri si fa il discorso di rimettere barriere tra un Paese e l’altro”. L’ex presidente della Commissione europea, Romano Prodi, è critico sulla via che sta emergendo nell’Ue per garantire la sicurezza di fronte alla minaccia del terrorismo. “Se la Germania propone di fare eccezioni a Schengen invece di rafforzare la cooperazione tra servizi segreti, le prospettive non sono buone” per riuscire a contenere le minacce dell’Isis, aggiunge a margine del convegno “Il governo di un mondo multipolare”, a Roma. Secondo il professore, il modo per affrontare correttamente l’attuale situazione “non è rompere accordi”, come quello sulla libera circolazione, “ma fare nuovi accordi più forti”.
Bisogna “coordinare i servizi segreti e le polizie dei diversi Paesi” indica ancora l’ex capo dell’esecutivo comunitario. Prodi riconosce che si tratta di un aspetto sul quale gli Stati membri sono impegnati – come dimostra l’operazione coordinata da Eurojust prima degli attentati di Parigi, che ha portato a diversi arresti di presunti terroristi spersi per il Continente – ma solo “un pochino”, perché “tutti gli analisti che ho seguito in questi giorni dicono che in Belgio e in Francia ci sono stati dei buchi di informazioni che hanno reso ai terroristi più facile fare ciò che hanno fatto”.
Riguardo all’aspetto esterno del problema terrorismo, la necessita di contrastare l’Isis in Siria, il professore non ha dubbi: non si otterranno risultati se continueremo a vedere “Francia e Gran Bretagna che intervengono da un lato e Germania che si tira indietro dall’altro”. Ma soprattutto, continua, “senza un accordo tra Stati uniti e Russia non è possibile una strategia vincente contro il terrorismo” dell’autoproclamato Stato islamico.
Il professore, nel corso del suo intervento alla due giorni organizzata dalla Comunità Domenico Tardini a Villa Nazareth – si chiuderà oggi con la partecipazione del cardinale Pietro Parolin –, affronta anche il tema della Brexit (la possibile uscita del Regno unito dall’Ue, sulla quale i cittadini britannici saranno chiamati a decidere nel 2017) e delle conseguenze per il futuro dell’Europa. Definisce “politicamente incomprensibile” il motivo che ha indotto il premier David Cameron ad annunciare il referendum con così largo anticipo, “perché l’effetto immediato è stato un indebolimento del Regno unito a Bruxelles”.
Poi indica che a Londra “gli interessi economici vogliono la permanenza nell’Ue mentre sono i media a riflettere il sentimento fortemente anti-europeo”. Secondo Prodi, lo stesso Cameron non vorrebbe la Brexit e “infatti sta contrattando delle concessioni da poter sventolare” all’elettorato per convincerlo a votare per la permanenza nell’Unione. Per l’ex presidente della Commissione alla fine vincerà quest’ultima posizione, ma “qualunque sarà l’esito referendario – avverte – è difficile che la Gran Bretagna entri in un processo europeo” che stringa verso una maggiore integrazione.
Questo si rifletterà sul futuro dell’Ue che “diventerà una unione a due velocità, con alcuni Paesi che avranno una partecipazione marginale”. E non è detto che l’Europa che marcia più spedita sia perfettamente coincidente con l’Eurozona. “In linea di massima è chiaro che i Paesi dell’euro sono più fortemente uniti tra loro”, spiega il professore. Tuttavia, aggiunge, “bisogna andare verso paesi che si uniscano in maniera ancora più forte per dare un esempio” agli altri di cosa possa essere “l’Europa futura”. Se i Paesi che ne costituiranno il nucleo più forte “includeranno tutti i quelli dell’euro lo vedremo” conclude Prodi, lasciando intendere che la probabilità di vederne alcuni esclusi non è remota.