di Christian Marazzi
Sembra proprio che, per uscire da quella che alcuni economisti chiamano “stagnazione secolare”, le economie avanzate siano costrette a perseguire politiche monetarie molto espansive, politiche chiamate quantitative easing (o “allentamento quantitativo”). La stagnazione secolare è quella situazione in cui non c’è crescita economica malgrado tassi di interesse prossimi allo zero o addirittura negativi. In situazioni del genere, specie quando si protraggono nel tempo, le banche centrali, come la BCE o quella giapponese (e prima di loro la Federal Reserve americana), adottano misure cosiddette non convenzionali, ossia creano liquidità in dosi massicce per acquistare buoni del Tesoro e obbligazioni private con l’obiettivo di combattere il rischio di deflazione (o di assenza di inflazione) e di favorire l’erogazione di credito al settore privato, cioè alle imprese e ai privati cittadini.
Purtroppo queste politiche monetarie, almeno fino ad oggi, non hanno dato i frutti sperati.
L’inflazione è ferma allo zero, in alcuni paesi si è già in deflazione, il che rende ancor più difficile la riduzione dei debiti pubblici e l’aumento della competitività delle imprese, dato che prezzi e salari sono rigidi verso il basso, ciò che porta dritti a ondate di licenziamenti per abbattere i costi.
Secondo uno studio della Federal Reserve, il contributo alla crescita economica delle politiche di QE negli Stati Uniti è stato pari a 0,26 punti percentuali, non proprio esaltante, anche perché questa enorme liquidità iniettata in circolazione è andata ad accrescere in modo spettacolare le diseguaglianze tra ricchi e poveri, tra chi dispone di capitali o di credito per speculare in borsa e chi dispone solo della propria nuda vita.
A complicare le cose ci si è messa la crisi dei paesi emergenti, Cina in testa, che alla carenza di domanda interna ai paesi avanzati ha aggiunto la riduzione della domanda esterna, e quindi della possibilità di esportare beni e servizi verso questi paesi. Per questa ragione, Mario Draghi, in una recente intervista, ha fatto sapere che sono allo studio nuove opzioni di politica monetaria espansiva, non solo l’estensione dell’acquisto di titoli o la riduzione dei tassi d’interesse, ma anche misure più radicali. Una, in particolare, sembra oggetto d’attenzione, ed è quella che vedrebbe la BCE stampare ancora più moneta, versandola direttamente sui depositi e sui conti correnti postali dei cittadini europei.
Una misura che potrebbe essere accompagnata da investimenti diretti per finanziare opere di utilità pubblica. Questo “QE for the people”, questa politica monetaria per il popolo, è interessante perché evita l’intermediazione bancaria che tanto impedisce alla liquidità di sgocciolare nell’economia reale, aumentando nel medesimo tempo il reddito disponibile dei cittadini.
Insomma, se di QE dobbiamo morire, meglio tentare nuove strade. Meglio tentare di ridurre le disuguaglianze, piuttosto che accrescerle in modo distruttivo.
Pubblicato su tysm il 17 novembre 2015.