Roma – “Se fossi il dittatore dello Stato libero di Bananas direi ‘Carbon Tax’ e non Ets” (il sistema europeo per lo scambio di quote di emissione di CO2, ndr), per garantire meglio la riduzione dei gas serra. Lo sostiene Ermete Realacci, presidente della commissione Ambiente di Montecitorio, pur sottolineando che la tutela ambientale è un ambito nel quale “l’Europa ha fatto l’Europa” e si è dimostrata un traino per il resto del Mondo.
Presidente, siamo ormai nell’imminenza della Conferenza Onu sul clima che si aprirà il 30 novembre a Parigi. Come giudica gli obiettivi che l’Ue porta alla Cop-21?
L’Europa è quella che finora l’ha tenuta in piedi questa partita. Se c’è un terreno di politica internazionale in cui l’Europa ha fatto l’Europa, rivelandosi uno strumento utile per il Mondo, è stato quello della lotta ai cambiamenti climatici. Kyoto senza l’Europa sarebbe morto. È l’Europa che si è caricata di quel trattato, ha fatto la sua parte mentre gli altri si tenevano fuori, ha convinto una serie di partner, tra cui la Russia e il Canada, a fare quel minimo di massa critica che serviva a far andare avanti Kyoto.
Lei riconosce all’Europa questa leadership, ma è critico sul sistema dell’Ue per perseguire la riduzione dei gas serra, ovvero la scelta di riformare l’Ets invece di adottare una tassa sulle emissioni.
Sono sempre stato più favorevole alla ‘Carbon Tax’ che all’Ets perché questo è un sistema che un po’ ha funzionato ma per molti versi no. Però mi rendo conto che nell’Ue non ci sono gli equilibri per andare nella direzione che auspico. Capisco che la Carbon tax dovrebbe essere una decisione presa a livello più ampio, però l’Europa è già un grande spazio. E poi sono convinto che queste soluzioni ambientali possano essere delle barriere doganali virtuose. Farle rispettare con rigore favorirebbe le nostre imprese e spingerebbe anche gli altri ad evolversi. Se fossi il dittatore dello Stato libero di Bananas direi Carbon Tax. Poi, se l’Europa non ce la fa – nonostante anche le imprese europee, a differenza di quelle americane, si siano pronunciate a favore della Carbon Tax – cercheremo di rendere più efficiente possibile il sistema Ets, perché mi piacerebbe che l’Europa mantenesse il proprio primato nella lotta ai cambiamenti climatici.
Cosa lo impedisce?
Sono soprattutto i Paesi dell’Est ad avere un atteggiamento negativo e resistenze verso questi temi. E poi, se si va a vedere, i Paesi che hanno le posizioni peggiori sulla riduzione della CO2 sono gli stessi che hanno le posizioni peggiori sui migranti e sui diritti civili.
Immagino sia però contento che ci sia qualcuno a minacciare il primato europeo di cui parla. A chi si riferisce?
A quei Paesi che hanno capito che la scelta di una economia che tuteli l’ambiente non è perforza penalizzante. Se Stati uniti e Cina raggiungono un accordo su questo, vuol dire che puntare sull’economia sostenibile è anche conveniente. La Cina ad esempio, che non è certo un riferimento per le politiche ambientali, ha avuto lo scorso anno una crescita del 7% del Pil, che per i ritmi a cui era abituata è poco, ma al contempo ha fatto registrare un calo di un punto percentuale nelle emissioni di CO2. Vuol dire che sta cambiando la propria economia nella direzione di una maggiore attenzione all’ambiente.
Quello della sensibilità agli aspetti ambientali è un tema presente nella legge delega per il recepimento delle direttive appalti e concessioni?
Sì. Come prescrive anche la normativa europea, abbiamo inserito l’indicazione di prevedere, direttamente nei bandi di gara, dei criteri di valutazione per l’assegnazione delle opere che tengano conto della tutela dell’ambiente e delle garanzie di natura sociale. Abbiamo inoltre introdotto il ‘debat public’, una forma di partecipazione dei cittadini che in Italia non c’era: si fa un dibattito aperto con i cittadini per comprendere l’utilità vera del lavoro da realizzare, con la possibilità che ci sia anche un ri-orientamento rispetto alle priorità, perché il progetto definitivo viene adottato dopo questo passaggio e non si fa una operazione ‘viriloide’ di approvare un’opera sulla base di un progetto preliminare per poi doversi fermare a causa delle resistenze dei cittadini.
A proposito di cittadini, c’è il rischio che il governo, attuando le deleghe per il riordino dei contratti di concessione, passi sopra la volontà espressa nel referendum di mantenere pubblica la gestione dell’acqua?
Questa è l’unica legge dello Stato in cui in un passaggio si dice esplicitamente che non si possono fare atti contrari alla volontà espressa con il referendum sull’acqua. L’ho scritto io quell’emendamento. Si dice chiaramente che il referendum che c’è stato sull’acqua è un atto di indirizzo che non può essere negato. Poi, anche lì, bisogna entrare nel merito di cosa voglia dire quando c’è una multi-utility. Ma abbiamo messo nei criteri di delega la salvaguardia di quel principio indicato dai cittadini. Inoltre, avendo rafforzato il ruolo del Parlamento, prevedendo un doppio passaggio per i decreti attuativi, credo ci siano tutti gli strumenti per garantire il controllo su quanto verrà fatto dal governo.
La Commissione europea ha emanato un manuale sugli appalti indicando la trasparenza tra i principi guida. L’Italia ha sempre avuto problemi su questo, come dimostrano i numerosi casi di corruzione. Come avete affrontato il problema?
Con la delega abbiamo usato l’occasione del recepimento delle direttive europee per un riordino generale della normativa sugli appalti provando a cambiare profondamente rotta. Con la Legge Obiettivo del 2001 si è indebolita la capacità progettuale, permettendo di aggiudicare le gare sulla base del solo progetto preliminare, di fare gare per la maggior parte con il sistema del massimo ribasso, con il conseguente utilizzo abnorme di varianti in corso d’opera da parte delle aziende appaltatrici per recuperare introiti, il che rappresenta tanto un danno per le finanze pubbliche quanto una concorrenza sleale nei confronti di altre imprese. Con la legge delega, che mi auguro venga presto approvata anche in Senato, si ridà centralità al progetto, si evitano le gare al massimo ribasso, si riducono le varianti in corso d’opera, si rompe il legame tra controllore dei lavori e controllato, si integra l’Anac non solo nel suo ruolo di Autorità anti corruzione ma anche in quello di vigilanza sui lavori pubblici.
L’apertura del settore degli appalti e delle concessioni è un tema su cui l’Ue sta trattando con gli Stati uniti nell’ambito del Ttip. Ritiene sia più una minaccia o una opportunità per l’Europa e per l’Italia?
Ancora non mi sono fatto un giudizio compiuto sul trattato di libero scambio transatlantico. Mi sembra che alcune delle critiche che vengono fatte siano fondate. Qualche forma di accordo internazionale ci vuole nei commerci, però qualora quest’accordo andasse a detrimento della qualità delle nostre produzioni, penso al campo agricolo, credo che la spesa non varrebbe l’impresa. Se il Ttip deve essere una cosa che indebolisce la nostra capacità, come Europa e come Italia, di attestarci su questa frontiera della qualità, perché apre alla soluzione di contenziosi in sedi dove non è garantita questa visione, secondo me non vale la pena di farlo. Però bisogna affrontare il tema un po’ più nel merito.