Roma – Un’Europa da rifare, come l’Italia, dando voce a chi non ce l’ha, rimettendo il lavoro al centro delle politiche. Stefano Fassina, tra i fondatori di Sinistra Italiana, spiega a Eunews i progetti europei della neonata formazione che raccoglie parlamentari ex Sinistra Ecologia Libertà, Pd, Movimento Cinque Stelle e punta a diventare partito il prossimo anno.
Eunews – Sinistra italiana, il nuovo progetto politico nato qualche settimana fa, che cos’è? Dove vuole andare? Ma soprattutto quali sono i progetti per il futuro anche da un punto di vista europeo.
Fassina – Sinistra italiana per ora è un gruppo parlamentare che raccoglie esponenti che appartenevano a Sinistra Ecologia Libertà, al PD al Movimento Cinque Stelle.
È parte di un progetto politico che in questi mesi abbiamo avviato nei territori e che a metà gennaio avrà l’avvio formale della fase costituente con l’obiettivo di costituire un partito.
Sinistra italiana si propone come terminale sociale per dare rappresentanza a quegli uomini e donne che oggi ne hanno poca o che non ne hanno affatto.
Non ultimi tre grandi macrotemi che per i quali ci battiamo: sostenibilità ambientale, correzione della “costituzione” europea e dell’agenda politica-economica che domina nell’eurozona.
E – Sul piano europeo avete annunciato di lavorare per un cambiamento radicale rispetto alla politica di Bruxelles al momento.
F – Un cambiamento non solo rispetto alla politica di oggi e alle politiche economiche di questi anni passati, ma nell’impianto dei trattati europei, che si pone in netto contrasto con le costituzioni nazionali nate dopo la seconda guerra mondiale, in particolare la nostra.
I trattati europei si reggono sul principio della competitiva e della stabilità dei prezzi, a differenza della nostra costituzione, che si regge sul principio della dignità del lavoro.
Una radicale revisione dei suddetti trattati – che allineerebbe la “costituzione” europea alle costituzioni nazionali – è ciò che cerchiamo di portare a compimento, insieme alle forze tradizionali del secolo scorso e a quante di matrice extra socialista.
Altra opzione non resta, se non di mettere al vaglio nuove strade che osteggino questa insostenibile contraddizione.
E – Veniamo ora al manifesto preparato insieme a Varoufakis e Lafontaine apprezzato molto dal premio Nobel Stitglitz. Il documento si pone nell’ottica di un nuovo corso europeo. Potremmo definire questo con la frase che spesso risuona “un’Europa dei popoli piuttosto che un’Europa della moneta”?
F – Non son sicuro che questa divisione tra popoli e moneta sia una divisione che possiamo
prendere in modo così semplice. Purtroppo tra le conseguenze negative di questa Europa e delle politiche economiche di questi anni vi è stata anche una crescente divaricazione tra i popoli europei che hanno perso la già debole solidarietà. Certamente questo è stato alimentato da una politica economica insostenibile, fondata sulla svalutazione del lavoro e sull’austerità.
C’è da rimboccarsi le maniche e fare un lavoro molto profondo o prendere atto che le correzioni sono impraticabili e cambiare rotta. A Parigi a settembre abbiamo avviato una riflessione su un piano B per l’Eurozona, perché la strada di fronte a noi non è affatto una strada semplice e le distanze sono cresciute non solo tra gli interessi degli stati membri, ma anche tra i popoli europei. Dobbiamo capire come evitare che una rotta insostenibile porti al naufragio dell’Eurozona con conseguenze inevitabili per la tenuta dell’Unione Europea.
E – L’Italia, insieme alla Grecia, è il punto di approdo dei migranti, la terra dei desideri. Juncker dice che la redistribuzione a questo ritmo sarà completata nel 2101, come sinistra italiana e come l’Altra Europa qual è, se non la soluzione, la vostra idea su questo tema?
F – Su questi temi non c’è una posizione condivisa perché il network che abbiamo creato oggi è “single issue“, si occupa di economia della moneta unica. Tuttavia sono problemi connessi e penso che questa sia, insieme alla sostenibilità dell’eurozona, la sfida decisiva che abbiamo di fronte. Non siamo semplicemente davanti a un’emergenza.
Sebbene in questi mesi il flusso di migranti sia stato un’emergenza, siamo di fronte a un processo che ha ragioni strutturali profonde e che, anche mettendo fine ai conflitti più critici nel Nord Africa e nel Medioriente, non si interromperà. Ritengo, che sia davvero miopia autolesionista, quella di non consentire ai paesi di escludere dal calcolo dei parametri rilevanti dagli obiettivi di finanza pubblica le risorse dedicate a gestire l’emergenza migranti. Credo che l’Italia dovrebbe prendersi questo spazio di deficit in modo unilaterale, perché si tratta di affrontare un problema complesso e quindi servono risorse, vanno lasciati gli spazi di finanza pubblica e vanno potenziati i mezzi in mare per affrontare il fenomeno. L’ impatto deve essere condiviso.
Mi hanno preoccupato le parole di Juncker.
L’onda emotiva, che qualche mese fa aveva consentito di aprire all’accoglienza, non mi pare che sia stata sufficiente, gli spazi aperti si sono rapidamente richiusi.
Infine, non possiamo fare una distinzione tra migranti di serie A e serie B, ci sono persone che scappano dalle guerre e altre che muoiono di fame, non è possibile lasciare affogare questi ultimi perché non vengono da paesi in guerra. Qui si ripropone il problema della cooperazione e lo sviluppo.
E – Parlando di cooperazione e di sviluppo è interessante vedere i risultati del summit di Malta.
F – I risultati raggiunti a Malta sono drammaticamente insufficienti. Si parla di 1,8 miliardi di euro da quella che è l’area più ricca del pianeta verso l’area più povera del pianeta. È evidente che non si vuole affrontare la fonte del problema, si cerca solo di trovare un espediente per dire qualcosa. Purtroppo quando il mondo è interdipendente, fare un atto nei confronti dell’altro non è semplicemente solidarietà disinteressata ma, condizione per la stabilità e lo sviluppo, quindi, andrebbe affrontato il problema con la consapevolezza che siamo di fronte all’interdipendenza.
I muri non funzionano, possono far prendere qualche voto alle destre xenofobe ma, bisogna prendere atto che serve un governo politico che implica risorse e impegni diplomatici sistematici, altrimenti ne pagheremo le conseguenze.
Siamo di fronte a problemi che richiedono una pluralità di piani di intervento e tempi lunghi insieme ad uno sforzo coordinato dei paesi europei. Se ognuno invece di accogliere, pensa a farsi il proprio muro o ad aprire le porte ai propri profughi preferiti in relazione a quelle che sono le sue esigenze di mercato del lavoro interno, temo che non andremo da nessuna parte.