Bruxelles – Il mondo che conosciamo da quasi 170 anni è un mondo che ha sempre più bisogno di petrolio per girare. Fin dall’inizio dell’uso del petrolio come carburante della macchina produttiva mondiale ci si è interrogati su quando il pianeta sarebbe rimasto senza benzina. I primi studi sul peak oil, vale a dire il raggiungimento del picco produttivo dopo il quale il greggio comincia a scarseggiare sempre più, fino a esaurirsi, risalgono all’inizio del secolo scorso. Per oltre cent’anni i modelli matematici utilizzati hanno spostato in avanti il punto di non ritorno. Il massimo della preoccupazione sulla fine dell’era del petrolio causa esaurimento fu raggiunta negli anni 70, con gli shock petroliferi e i prezzi alle stelle, che spinsero molti paesi, come la Francia, a costruire in pochi anni decine di centrali nucleari. La psicosi della fine del petrolio ha segnato le vite di chi oggi ha sessant’anni: domeniche a piedi e luci spente per risparmiare petrolio. Ma c’era già chi vedeva lontano. Con una battuta rimasta nei libri di storia, l’allora potentissimo ministro del petrolio saudita Yamani rispondeva a chi gli chiedeva quando il mondo sarebbe rimasto senza petrolio che “l’età della pietra non è finita per mancanza di pietre”.
In quel clima, chi aveva le mani sul rubinetto poteva ricattare il mondo solo riducendo un po’ la produzione: qualche barile in meno al giorno, qualche dollaro in più per barile. Il giochino è andato avanti per decenni, punteggiato dalle guerre del Golfo (la giugulare dell’Occidente), fino all’attacco al cuore dell’impero dell’11 settembre. Perchè dagli anni 70 in poi non è che il petrolio è salito sempre. Ci sono stati picchi di prezzo, ma anche violente cadute. Se far salire il prezzo era il gioco dei produttori per ricattare l’Occidente, farlo cadere era il gioco degli americani per dissanguare i sovietici, che insieme ai paesi del Golfo erano e sono (anche se non si chiamano più così) i principali produttori del mondo. L’impero del male si è disintegrato con un petrolio sotto i 20 dollari al barile. In un arco di 40 anni il prezzo del barile è oscillato forse più di qualunque altro asset, da minimi di 10 dollari del 1999 a massimi di quasi 150 nell’estate del 2008. Ma l’idea di fondo che il petrolio fosse una risorsa limitata destinata prima o poi a esaurirsi è rimasta fino ad oggi. O no?
Da metà del 2014 il prezzo del petrolio è caduto da circa 100 dollari ai 40 di oggi. Per molti è il solito ciclo comune a molte materie prime: sale la richiesta, i prezzi aumentano, si investe per aumentare ancora la produzione fino a che si produce troppo, i prezzi scendono, si disinveste fino a che i prezzi non sono scesi abbastanza per ricominciare. Ma qualcuno la pensa diversamente. Sta cominciando a circolare l’idea che la caduta dell’anno scorso non sia il solito ciclo che si ripete, ma la prima avvisaglia di una svolta epocale. La fine dell’era del petrolio. Bum! Piano, non succede domani, probabilmente ci vorrà qualche decennio. Ma molti segni indicano che l’età del petrolio potrebbe avvicinarsi alla fine non perché il petrolio è finito, ma perché se ne produce sempre di più e ne serve sempre di meno. Con la crescita economica dei paesi emergenti grandi e piccoli il mondo si sta elettrificando a una velocità mai vista prima. Ma il petrolio è sempre meno indispensabile per produrre elettricità. C’è il gas, a volontà, c’è l’idroelettrico, ci sono una varietà di fonti alternative, dal solare all’eolico, che ormai stanno sul mercato anche senza sussidi, e c’è anche il nucleare. E prima o poi ci sarà l’idrogeno. Il petrolio, per ora, resta indispensabile per muoversi: auto, aerei e navi senza petrolio non vanno. Per quanto ancora? Una rivoluzione elettrica sta per sconvolgere il settore automobilistico. E poi ci sono le pressioni sempre più forti per ridurre le emissioni. Parliamo di prospettive decennali. Ma per la metà del secolo il petrolio potrebbe essere diventato una fonte quasi marginale. E’ già successo con il carbone.
E questo ci porta a Parigi. La capitale francese prima degli attacchi terroristici si preparava ad accogliere il presidente iraniano Rouhani in un road show europeo che avrebbe dovuto toccare anche Roma per presentare il nuovo Iran del dopo sanzioni pronto a rientrare alla grande sulla scena dei mercati mondiali, a cominciare da quello del petrolio. Il viaggio è stato precipitosamente cancellato. Per ora l’Iran resta in castigo. Proviamo a fare un ragionamento. Se il petrolio resta vitale per far girare il mondo, la competizione tra i produttori non è particolarmente agguerrita, ce n’è per tutti. Ma se circola l’idea che il tempo della bonanza sta per scadere, allora la competizione per il controllo di una risorsa destinata a valere sempre meno diventa senza esclusione di colpi. La rivalità millenaria tra sciiti (Iran) e sunniti (Isis e mandanti) va in scena su un campo di battaglia globale che ha sullo sfondo il tramonto del petrolio?