di Luigi Pandolfi
Dopo soli 11 giorni, il governo di centrodestra in Portogallo è andato a casa. È stato sfiduciato da uno schieramento di forze che, salvo sorprese, potrebbe costituire la maggioranza di un nuovo esecutivo a guida socialista. Sembrava, dopo le elezioni svoltesi il 4 ottobre scorso, che non ci fossero alternative ad un governo di minoranza guidato dal premier uscente Passos Coelho, leader del cartello di centrodestra formato dal PSD (Partito Social Democratico) e dal CDS-PP (Centro Democratico Sociale – Partito Popolare), che aveva ottenuto la maggioranza relativa dei voti. E questo, non tanto perché in Portogallo non è previsto un voto di fiducia iniziale per un governo che nasce, quanto, soprattutto, perché nessuno avrebbe scommesso su una convergenza tra le tre principali forze della sinistra portoghese: i socialisti, il Partito Comunista (PCP) ed il Bloco de Esquerda.
Sebbene il partito socialista, oggi guidato dall’ex sindaco di Lisbona, Antonio Costa, avesse in questi ultimi anni abbracciato l’idea di un superamento delle politiche di austerità, le differenze con i comunisti e la sinistra radicale sembravano ostacoli insormontabili per un accordo di governo. E invece, proprio quello che nessuno aveva previsto starebbe per realizzarsi. «Oggi abbiamo posto fine ad un tabù», ha dichiarato Costa nel suo discorso in parlamento, aggiungendo: «Si può allentare l’asfissia sociale della classe media, e migliorare le condizioni di reddito delle famiglie, senza dover condividere la stessa visione sulla NATO; si può difendere lo stato sociale senza entrare nel dibattito sul tema dell’euro; e si può lottare contro la precarietà del lavoro, nonostante la si pensi diversamente sull’Unione europea».
Una risposta indiretta al presidente della repubblica Anibal Cavaco Silva, che, all’indomani del conferimento dell’incarico a Passos Coelho si era lasciato andare a queste considerazioni: «In quarant’anni di democrazia, nessun governo in Portogallo è mai dipeso dall’appoggio di forze politiche anti-europeiste. Dopo aver affrontato il programma di assistenza finanziaria, con pesanti sacrifici, è mio dovere, e rientra nei miei poteri costituzionali, fare tutto ciò che è possibile per prevenire l’invio di falsi segnali alle istituzioni finanziarie, agli investitori e ai mercati».
Il voto. Con 123 voti favorevoli, tra cui quello del deputato del partito animalista PAN (Persone, Animali e Natura), martedì scorso, il parlamento di Lisbona ha approvato la mozione di sfiducia al governo presentata dalle forze di opposizione, aprendo la strada ad una soluzione di governo davvero inedita per la storia del Paese. A meno che, il presidente della Repubblica Anibal Cavaco Silva non intenda esplorare altre strade, come quella, ad esempio, di un governo tecnico, non potendo sciogliere le camere essendo entrato nel cosiddetto “semestre bianco”. Ma si tratterebbe, da ogni punto di vista, di una scelta rischiosa, temeraria. Anche perché le forze di sinistra hanno presentato la loro mozione di sfiducia al governo di centrodestra solo dopo aver trovato un accordo tra di loro per un governo che duri quattro anni. Chiara, a tal proposito, Catarina Martins, leader del Bloco de Esquerda: «Il presidente della Repubblica rispetti la volontà della maggioranza dei portoghesi. In parlamento c’è una maggioranza di deputati pronta a sostenere un governo alternativo».
Cosa prevede questo accordo? Intanto, ad essere più precisi, più che di un accordo unico tra PS, PCP, BE ed ecologisti, si tratta di tre accordi separati siglati dai socialisti con le altre forze politiche alla sua sinistra. Circostanza che, già in queste ore, ha lasciato spazio ad interpretazioni pessimistiche sulla tenuta di un governo Costa. Nondimeno, i protagonisti smentiscono che la stessa possa pregiudicare la stabilità del futuro esecutivo, sebbene, come nel caso dei comunisti, non escludano in assoluto un loro disimpegno, qualora alcuni patti non venissero rispettati. Nel merito, il programma prevede una serie di misure che ribaltano la logica del rigore finanziario che è stata alla base dei governi sia “progressisti” che di centrodestra negli ultimi anni. Si parla di rivalutazione delle pensioni, di lotta al precariato, di tagli all’IVA per alcuni settori, di garanzie contro i pignoramenti delle case, di potenziamento del sistema sanitario nazionale e della scuola pubblica, di blocco dei licenziamenti nel comparto pubblico e delle privatizzazioni.
Insomma, si andrebbe a configurare un radicale cambiamento delle politiche economiche e fiscali per «voltare pagina rispetto alle politiche del PSD e del CDS, che hanno messo in opera una strategia di impoverimento della popolazione», come si legge testualmente nel finale del documento politico sottoscritto dalle parti. Come verranno finanziate queste misure? Su questo punto, i socialisti, già in campagna elettorale, erano stati chiari: facendo pagare di più i ricchi e ricorrendo ad un di più di spesa in deficit, anche a costo di contravvenire alle prescrizioni del Patto di bilancio europeo (fiscal compact).
Il Portogallo, com’è noto, è uscito da poco dal programma di salvataggio sottoscritto con la troika nel 2011, incassando, tra l’altro, le lodi di Bruxelles per il modo risoluto con cui sono state portate avanti le “riforme” in questi anni e per i risultati di bilancio ottenuti. In verità, se da un lato il deficit del bilancio statale è passato dall’8,3 per cento del 2011 all’attuale 3 per cento, grazie ai tagli vigorosi apportati alla spesa pubblica ed all’inasprimento della pressione fiscale (le tasse sui redditi sono aumentate di circa il 30 per cento), dall’altro si registra una regressione nelle condizioni materiali di vita dei cittadini che, eccetto il caso greco, non ha eguali nel resto d’Europa. Una situazione che, unita all’esplosione del debito aggregato (pubblico e privato), rende del tutto illusoria l’idea che i timidi segnali di ripresa dell’economia registrati negli ultimi trimestri possano incidere positivamente, ed in tempi brevi, sulle condizioni materiali di vita dei cittadini.
È quello che pensano le forze di sinistra che si apprestano a governare il paese, che, non a caso, hanno messo in campo un programma di ricostruzione nazionale di stampo keynesiano. Una bella sfida, non c’è che dire. I mercati, per ora, sembrano seguire una “linea” attendista, mentre ai piani alti di Bruxelles e Francoforte si sono imposti la consegna del silenzio. A Lisbona, invece, dopo il voto del parlamento, una manifestazione convocata dalla Confederazione generale dei lavoratori portoghesi (CGTP) ha celebrato la caduta del governo di Passos Coelho cantando la famosa canzone degli Inti Illimani El pueblo unido jamás será vendico.
Pubblicato su Linkiesta il 12 novembre 2015.