di Maurizio Sgroi
La crisi ha cambiato il volto della finanza europea rafforzando tendenze già visibili alla fine degli anni ‘90, che adesso sono prevalenti. Il primo a giovarsi di questa evoluzione è stato il settore dello shadow banking, che orma gestisce 23 dei 60 trilioni di asset finanziari dell’eurozona. Una crescita spettacolare, solo che si consideri come le entità-ombra, ossia gli intermediari finanziari non bancari, gestivano appena 9 trilioni di asset alla fine degli anni ‘90, che è anche il segno di un cambiamento di consuetudini che avvicina sempre più l’Europa agli Stati Uniti, dove lo shadow banking ormai ha un ruolo da protagonista.
È interessante notare, come fa la BCE nel suo ultimo rapporto sulle strutture finanziarie della zona euro, che la crisi, lungi dal far dimagrire lo shadow banking, l’ha invece rafforzato. Dal 2009, infatti, la quantità di asset gestiti è crescita dal 33 al 38 per cento, mentre il peso degli istituto di credito tradizionali è sceso dal 55 al 48 per cento. A fronte di queste cifre, la debolezza dell’euro ha provocato che circa il 40 per cento di questi asset sono investiti fuori dall’eurozona.
Diventa perciò essenziale conoscere meglio questa realtà seguendo la classificazione che ne fa la BCE. Lo shadow banking, secondo questa definizione, non comprende le banche, gli istituti di assicurazione e i fondi pensione. Quindi le entità considerate sono i fondi di investimento (non MMFs) , i fondi che agiscono sul mercato monetario (MMFs) e i veicoli di finanziamento delle corporation (financial vehicle corporation, FVCs). La spinta di crescita maggiore, negli ultimi anni, è arrivata proprio dai fondi di investimento. Nel 2015 queste entità da sole pesano circa il 40 per cento degli asset totali, parliamo quindi di oltre 800 miliardi di euro. I FVCs gestiscono circa l’8 per cento e i MMFs il 4 per cento. Del quasi 50 per cento che residua non si hanno informazioni precise. Sappiamo solo che sono concentrati per i due terzi fra Olanda e Lussemburgo.
La spiegazione più comune che motiva lo straordinario sviluppo dei fondi di investimento individua nella ricerca di rendimento la spinta principale degli investitori, evidentemente non più soddisfatti dei guadagni procurati dai circuiti tradizionali. Altresì rilevante la sottolineatura che «il settore dello shadow banking è diventato sempre più un provider di fondi per l’economia dell’area». Nel 2015, secondo alcune stime, queste entità hanno fornito 3,2 trilioni di euro al settore non finanziario sotto forma di prestiti, acquisto di obbligazioni e di equity. Altri 3,5 trilioni sono stati forniti al settore finanziario, mentre altri 5 trilioni sono stati investiti fuori dall’area.
In sostanza queste entità forniscono liquidi all’economia, anche sostenendo gli intermediari tradizionali, ossia le banche, delle quali si stima posseggano il 10 per cento delle loro emissioni obbligazionarie. A loro volta le banche dell’area hanno esposizioni dirette nei confronti delle banche ombra per almeno l’8 per cento dei loro bilanci, mostrandosi con ciò l’ennesimo garbuglio di interessi incrociati che funziona come un acceleratore per le une e gli altri. Anche quando scoppia un incendio.
La crescita dell’asset management gestito tramite fondi è stata rigogliosa dal 2009 in poi. Gli asseti totali sono quasi raddoppiati, dai 5,4 a 10,5 trilioni di euro (+94 per cento) e nell’ultimo anno la crescita è stata del 27 per cento. Escludendo gli effetti delle riclassificazioni, lo stock è cresciuto del 30 per cento dal 2009 con afflussi netti che hanno pesato per due terzi sul totale della crescita. Ciò vuol dire che c’è stato un deciso spostamento del risparmio su queste forme alternative di investimento, che ha segnato una decisa evoluzione delle prassi dei risparmiatori e degli investitori dell’area.
Il settore peraltro appare molto concentrato, con oltre il 90 per cento degli asset domiciliati fra Lussemburgo, Germania, Irlanda, Francia e Olanda. Dal 2014 in poi si è assistito a un’ulteriore concentrazione, e specificamente in Irlanda e Lussemburgo, che però tendono ad avere una maggiore quota di asset investita fuori dall’eurozona.
Al primo quarto del 2015 i fondi avevano prestato fondi per 1,3 trilioni a istituzioni creditizie dell’area, un trilione ai governi e 325 miliardi a imprese non finanziarie, connotandosi perciò come una importante fonte di equilibrio finanziario per questi soggetti. Inoltre avevano investito 2,4 trilioni nel mercato azionario e 250 miliardi in asset non finanziari, compreso il real estate. Questi signori del denaro perciò sono la vera novità del nostro tempo e insieme potenti arbitri del nostro destino. Basti considerare che i crediti di queste entità verso le imprese ormai pesano un quarto dei loro asset totali a fronte di un quinto nel 2008. Ciò significa che guardare alle banche principali fornitori di credito del settore produttivo sta diventando antistorico.
I fondi che operano sul mercato monetario e i veicoli di finanziamento non hanno conosciuto eguale fortuna. I primi sono in lieve ripresa, dopo il crash del 2009, e nel primo quarto del 2015 gestivano circa un trilione, mentre i secondi vedono sempre più in declino la loro attività. Forse perché la loro capacità di produrre rendimenti è minore. Ma è interessante notare l’alto grado di interdipendenza fra i fondi del mercato monetario e le banche tradizionali, visto che oltre il 40 per cento degli asset di questi fondi corrispondono a prestiti o obbligazioni del settore bancario.
I FVCs, che prima della crisi erano utilizzati per veicolare fuori dai bilanci delle banche le obbligazioni cartolarizzate sono sempre più residuali. Dal 2009 hanno perso il 23 per cento dei loro asset, probabilmente a causa del notevole raffreddamento del business delle cartolarizzazioni dopo la crisi. Ma anche qui è forte il legame con il circuito bancario tradizionale, visto che il 40 per cento delle obbligazioni di questi veicoli è detenuto dalle banche.
Malgrado il calo, il settore gestisce sempre 1,8 trilioni di asset e si connota come uno degli intermediari più importanti per il credito alle famiglie dell’area. Cosa ci dice questa lunga ricognizione? Che lo shadow banking è sostanzialmente il lato nascosto delle banche, da un parte, e che viene alimentato dalla fame di rendimento degli investitori, dall’altra. Il combinato disposto ne fa un soggetto sistemico sul quale però i regolatori hanno poche possibilità di agire.
Per questo è pericoloso.
Pubblicato sul blog dell’autore l’11 novembre 2015.