Bruxelles – C’è una falla sempre più evidente nel sistema immaginato per gestire la crisi dei rifugiati. Anche se tutto funzionasse alla perfezione, se tutti i migranti accettassero di farsi registrare e tutti i Paesi ne accogliessero di buon grado una quota, per trattare ogni domanda di asilo ci vogliono circa 18 mesi. E nel frattempo dove si sistemano i migranti in attesa? Fino ad ora rimangono nel Paese dove vengono registrati, in sostanza Italia e Grecia. Ma così, visto il volume dei migranti in arrivo, non si può continuare. Le isole greche (molto più dell’Italia) esplodono: “In Italia siamo a 160mila richiedenti asilo mentre la Grecia ne ha 650mila. A Lesvos durante il mese di ottobre ci sono stati tanti arrivi quanti in tutto il 2014, circa 220mila”, fa i conti Jean Asselborn, ministro per gli Affari europei del Lussemburgo, Paese che detiene la presidenza di turno dell’Ue. Insomma: “Non si può sperare o imporre a un Paese come la Grecia di essere solo al timone, di fronte ad un afflusso eccezionale, che non è mai esistito nell’Ue”.
Per questo i ministri dell’Interno dell’Ue, riuniti a Bruxelles, hanno deciso di provare a mettere in pratica uno strumento nuovo: dei cosiddetti “processing center” che trattino le domande dei migranti in arrivo nei Paesi di transito, all’esterno dell’Ue, lungo la rotta balcanica. Probabile siano coinvolte Macedonia, Serbia, Montenegro ma non la Turchia. Ancora nulla di preciso è stato stabilito sui tempi ma è chiaro è che “è impossibile, se ci sono diecimila arrivi al giorno, controllare l’afflusso e c’è sempre gente che parte senza essere controllata”. Per questo i ministri dei ventotto hanno concordato di “esplorare il concetto di processing centres in Paesi dove non è stato messo in atto l’approccio degli hotspot”. Qui dovrebbero avvenire registrazione, raccolta delle impronte digitali e si dovrebbero ascoltare le storie dei migranti per capire se hanno diritto alla protezione internazionale. “È uno dei soli mezzi che abbiamo per mostrare a Grecia e Italia che il carico non è tutto sulle loro spalle ma c’è una vera divisione delle responsabilità”, spiega Asselborn.
Nel corso della riunione dei ministri si è tornato anche a parlare di hotspot e della necessità di metterli in atto rapidamente, al massimo entro la fine di novembre. In Italia per il momento ne funziona uno sui sei previsti e, nonostante gli annunci alla stampa del ministro Alfano, che assicura che il nostro Paese non farà più di questo se non ci sarà una decisa accelerazione sulle relocation, “oggi Italia e Grecia hanno ribadito il loro impegno a rendere funzionanti gli hotspot entro fine novembre”, assicura il commissario Ue all’immigrazione, Dimitris Avramopoulos. Il clima della riunione è stato molto migliore che in passato, assicura il commissario, secondo cui sono nettamente aumentati i Paesi che si sono detti pronti ad accettare i trasferimenti da Italia e Grecia e tutti hanno concordato sulla necessità di accelerare il processo.
D’altra parte in Italia “abbiamo decine di migliaia di cittadini eritrei e migliaia di siriani” già pronti da ricollocare, assicura Alfano. Ora “occorre che tutti i Paesi che hanno dato la loro disponibilità sblocchino le loro quote, perché questa è una realtà drammatica fatta i donne, bambini, uomini in carne e ossa, non è un videogame”. L’Italia ha poi chiesto che pure gli afghani siano inclusi nelle nazionalità da ricollocare. Le conclusioni del consiglio assicurano anche che gli Stati membri, con il supporto della Commissione e di Frontex, “aumenteranno sostanzialmente il tasso dei ritorni” che sono, secondo Alfano, “un elemento strategico di tutta la gestione dell’immigrazione”.