di Francesca Lacaita
Nei giorni scorsi è tornata a circolare negli ambienti bruxellesi l’ipotesi di un’accelerazione verso strutture difensive comuni europee. L’occasione è stata data dall’anticipazione di un documento del Partito Popolare Europeo alla vigilia del suo congresso di Madrid, in cui si auspica una cooperazione strutturata permanente, in particolare per istituire «un Comando medico europeo», impiegare «tecnologie per doppio uso militare/civile, come pure le navi per la sorveglianza marittima, gli aerei ed i droni» e a lungo termine «portare alla creazione di un esercito UE comune».
Tali proposte sono tutt’altro che occasionali, si riallacciano anzi a precedenti dichiarazioni del presidente della Commissione europea Juncker, nonché a una “nota strategica” del medesimo tenore, redatta dal Centro europeo di strategia politica (EPSC) e pure sollecitata dalla Commissione europea. Esse sembrano tuttavia essere piaciute poco ai Socialisti e Democratici, che hanno contestato in primo luogo la tempistica e l’opportunità. Prospettare un esercito europeo ora significherebbe soprattutto una provocazione nei confronti della Russia.
E i federalisti? Nella loro memoria collettiva il fallimento della Comunità Europea di Difesa (CED) nel 1954 brucia ancora, tanto più che con la CED venne affossato anche il progetto della Comunità Politica Europea, che conteneva in sé l’embrione di una costituzione federale. Nel corso dei decenni, inoltre, il loro approccio ha caratteristicamente privilegiato la realizzazione di istituzioni potenzialmente federali, al di là di considerazioni di partito o più generalmente “di parte”. In questa prospettiva parrebbe facile concludere che il percorso verso un esercito europeo possa di per sé catalizzare una dinamica verso una federazione europea, e che quindi le proposte di Juncker e del PPE siano comunque da appoggiare indipendentemente dai loro contenuti (o dalle reazioni russe).
In questo suo intervento Barbara Spinelli ci ricorda che il contesto e i contenuti sono importanti. Il contesto e i contenuti delle proposte di difesa comune non muovono verso un nuovo assetto, che dovrebbe essere federale in quanto vuole definitivamente esorcizzare i fantasmi del passato europeo, e per il quale vale la pena cedere una parte della propria sovranità. No, esse rientrano nella logica della politica di potenza, delle rivalità tra blocchi, dell’arroccamento della “fortezza Europa”, riproducendo la spirale di violenza e di ingiustizie che ha storicamente caratterizzato i rapporti degli europei tra se stessi e con il resto del mondo (come può chi ha sostenuto il diritto dei profughi e dei migranti a cercare un futuro in Europa plaudire a un esercito con il compito precipuo di pattugliare e blindare i confini del continente? Come può chi ha riconosciuto nelle guerre degli ultimi anni la causa della rovina e della disperazione di intere comunità plaudire a un esercito destinato ad avere un ruolo in altre simili guerre? E si potrebbe continuare).
A questi progetti, che renderebbero l’Europa poco più di un altro Großraum come già concepito e tentato varie volte nel corso della sua storia, Barbara Spinelli contrappone la carica innovativa della proposta della CED di Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli. Ad essa aggiungiamo le 12 tesi del programma approvato al congresso federalista di Hertenstein, in Svizzera, nel settembre 1946, dal quale sarebbe presto nata l’Unione Europea dei Federalisti (UEF), in particolare la tesi n. 9: «L’Unione europea non è diretta contro nessuno e rinuncia ad ogni forma di politica di potenza. Rifiuta di essere uno strumento al servizio di qualunque potenza europea». Il confronto con le incertezze dell’Unione europea del dopo-guerra fredda e con il fervore militare dei Popolari europei è semplicemente impietoso.
L’assenza di tensioni ideali o programmatiche (quali possono essere l’art. 11 della Costituzione italiana o la tesi n. 9 del Programma di Hertenstein) nel discorso sull’esercito europeo, e soprattutto l’assenza di legittimazione democratica, inducono Barbara Spinelli a considerare anche il diritto di veto in funzione di resistenza. Su questo molti federalisti probabilmente dissentiranno. Ma la questione della legittimità e della democrazia è reale e rimane centrale. Si rifletta.
Pubblicato sul sito di Europa in Movimento il 15 ottobre 2015.