Bruxelles – Un anno fa, il 5 novembre 2014, scoppiava lo scandalo LuxLeaks. In seguito a una inchiesta del “Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi” (Icij) e alle rivelazioni della ‘talpa’ Antoine Deltour venne alla luce quello che in realtà si sospettava da tempo, e cioè che in Lussemburgo diverse aziende, nello specifico di quanto rivelato dall’inchiesta 343, grazie agli accordi fiscali preventivi, i cosiddetti Tax rulings, avevano ricevuto aiuti di Stato illeciti per pagare meno tasse, spostando gli imponibili nel Granducato anche se facevano profitti in altri Stati membri. Lo scandalo LuxLeaks scoppiò proprio a pochi giorni dall’insediamento della Commissione guidata da Jean-Claude Juncker, che del Lussemburgo era stato premier per circa 12 anni. Il presidente per dissipare ogni dubbio sulla sua affidabilità come leader dell’esecutivo Ue promise subito un ambizioso piano per contrastare l’evasione fiscale in Europa, e a un anno da quelle promesse alcuni risultati si sono visti, anche se non si possono definire eclatanti.
Sempre per rispondere al LuxLeaks a marzo il commissario agli Affari economici, Pierre Moscovici, ha proposto una direttiva che punta ad assicurare massima trasparenza sui Tax rulings, eliminando la discrezionalità su quali dati poteva essere tenuti segreti e quali dovevano essere scambiati automaticamente tra gli Stati. L’obiettivo è far sì che le autorità fiscali di ogni Paese possano scoprire più facilmente se un’azienda che opera sul suo territorio sposta i propri imponibili, sfruttando le sue filiali, in Stati, come appunto il Lussemburgo, in cui vigono regimi fiscali più convenienti. L’esecutivo ha pigiato fin da subito l’acceleratore su questa proposta che ha ricevuto subito l’ok del Parlamento e anche quello degli Stati membri in tempo record. L’approvazione definitiva è arrivata a soli sette mesi dalla sua presentazione e, fatto simbolico pur importante, proprio quando la presidenza dell’Ue è detenuta dal Granducato. Ma come speso accade, per raggiungere l’accordo tra i Paesi si è dovuto puntare ad alleggerire comunque la portata del provvedimento. Inizialmente Moscovici avrebbe voluto che fosse retroattivo di di 10 anni, in modo da scoprire chi in passato ha approfittato delle maglio troppo larghe della legislazione attuale. “La retroattività è una questione molto importante, un punto di sostanza e decisivo per la Commissione”, aveva affermato. Ma alla fine è stata proprio questa retroattività ad essere la vittima illustre del provvedimento, e così nella sua approvazione finale è scesa a soli 5 anni. E visto che la direttiva entrerà in vigore nel 2017 questo vuol dire che le informazioni sui primi Tax ruling attivi che verranno scambiate risaliranno massimo al 2012 e al 2014 per quelle non più in vigore. Insomma un bel colpo di spugna sul passato.
In questo tentativo di fare luce sulle scorrettezze degli ultimi anni parallelamente la Commissione ha portato avanti anche alcune indagini sui Tax rulings in diversi Stati, e anche qui con qualche risultato. Il 21 ottobre scorso la commissaria alla Concorrenza, Margrethe Vestager, ha accusato Lussemburgo e Paesi Bassi di aver “artificialmente ridotto il carico fiscale di Fiat e Starbucks”, in maniera “illegale secondo le regole sugli aiuti di Stato”, e di averlo fatto, nel caso dell’azienda automobilistica italiana, nel 2012, ovvero quando il premier del Paese era Juncker. In tutto le due compagnie dovranno restituire entrambe circa 20-30 milioni di euro, una cifra non straordinaria, ma è comunque oltre venti volte quello che le due aziende hanno versato al fisco dei due Paesi, e soprattutto segna una tappa anche dal punto di vista simbolico. Peccato che il Lussemburgo non si sia dimostrato molto collaborativo sulla faccenda e abbia immediatamente annunciato di voler fare ricorso, anche se è proprio il Granducato a dover intascare i soldi mancanti. Le vecchie, cattive, abitudini sono dure a morire.