Bruxelles – Recep Tayyp Erdogan è tornato, ancora più forte di prima. Il verdetto delle urne riconsegna la Turchia nelle mani dell’attuale presidente che, dopo avere perso alle elezioni di giugno la maggioranza assoluta, ora ha riguadagnato il pieno controllo del Paese e anzi è tornato alle percentuali record del 2011. Il suo partito Giustizia e Sviluppo (Akp) ha superato anche i sondaggi più favorevoli, conquistando il 49,4% dei voti e 316 seggi in Parlamento su 550: un risultato che gli consente di formare un governo monocolore anche se non di modificare direttamente la Costituzione in senso presidenziale, vero obiettivo di Erdogan, per cui sarebbero stati necessari i tre quinti dei seggi (330).
Un risultato ottenuto nonostante il partito filo-curdo Hdp sia riuscito, come a giugno, ad entrare in Parlamento superando (di poco) la soglia di sbarramento record del 10% e consolidandosi come forza che sembra destinata a rimanere sulla scena politica turca: il partito di Selattin Demirtas ha però perso, rispetto alle elezioni dello scorso giugno, in cui aveva guadagnato il 13% delle preferenze, un milione di voti. “Non sono state elezioni corrette”, ha subito denunciato Demirtas, secondo cui la sua forza politica non ha potuto fare campagna elettorale come avrebbe voluto poiché ha dovuto “salvare la gente dai massacri”. La manifestazione durante la quale è avvenuto l’attentato che, appena 20 giorni fa, ha ucciso oltre cento persone, aveva tra i suoi promotori proprio l’Hdp. Il vero tracollo è però stato quello dei nazionalisti dell’Mhp che hanno perso per strada quasi due milioni di voti e la metà dei propri seggi. Regge, invece, il socialdemocratico Chp, che si conferma secondo partito in Parlamento con il 25,4% delle preferenze e due seggi guadagnati rispetto a giugno (134).
Sembra insomma avere pagato la strategia di guerra totale in cui il presidente turco si è lanciato dopo il duro colpo di giugno che aveva segnato per lui la prima battuta d’arresto in 13 anni. Una guerra aperta tanto contro i curdi, contro cui il governo ha ripreso pesanti bombardamenti, violando la tregua siglata nel 2013, quanto contro la stampa critica, con giornali ed emittenti indipendenti costretti a chiudere. Giocandosi tutto sulla paura degli attentati che hanno sconvolto il Paese, Erdogan si è presentato come l’unico baluardo contro il caos e ha chiesto ai cittadini di restituirgli il pieno controllo del Paese per recuperare la stabilità perduta. I turchi hanno deciso di farlo, in massa: rispetto a giugno il presidente in carica ha guadagnato quasi tre milioni e mezzo di voti, sfondando quota 23 milioni.
Ma nel sud-est del Paese a maggioranza curda è subito esplosa la rabbia per un risultato inatteso che spezza il sogno di fermare il cammino di Erdogan. Mentre ancora il conteggio dei voti era in corso, a Diyarbakir manifestanti curdi hanno appiccato incendi ed eretto barricate, scontrandosi con la polizia che ha risposto con gas lacrimogeni e una decisa repressione delle proteste. Un assaggio di quello che potrebbe succedere nei prossimi mesi se Erdogan proseguirà nel muro contro muro con i curdi. In tre mesi di guerra al Pkk, oltre 150 soldati e duemila combattenti curdi sono già morti. E ora il timore è che la guerriglia possa spostarsi stabilmente nei centri urbani.
Ora “il mondo intero deve rispettare questo risultato”, rivendica Erdogan forte del consenso ricevuto nelle urne, lamentando: “Non ho visto molto rispetto in giro”. Da Bruxelles, che segue con particolare attenzione le elezioni che si svolgono in piena trattativa per un piano comune di azione sui rifugiati con Ankara, arriva per il momento solo il messaggio congiunto dell’Alto rappresentante per gli Affari esteri Ue, Federica Mogherini e del commissario per le politiche di vicinato, Johannes Hahn: “L’Ue – assicurano – lavorerà insieme al futuro governo per rafforzare la partnership tra Ue e Trchia e per continuare a fare progredire la nostra cooperazione in tutte le aree a beneficio dei tutti cittadini”. I rappresentanti delle istituzioni Ue sottolineano soprattutto l’alta affluenza alle urne, complimentandosi con il popolo turco per “il forte impegno nel processo democratico”.