Strasburgo – La Commissione europea aveva segnalato già nel 2012 che c’erano discrepanze in termini di emissioni tra i risultati dei test delle case automobilistiche e le prove su strada, e non ha mai nascosto il problema, ma ha proposto una strategia che affermava esplicitamente che bisognava intervenire sulla questione introducendo dei test più efficaci. È la risposta del vicepresidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, chiamato in causa da un articolo apparso sul domenicale del Financial Times secondo cui nel 2013, ovvero due anni prima che le autorità Usa rivelassero i trucchi adottati dal gruppo Volkswagen, l’allora commissario all’Ambiente, Janez Potocnik, aveva lanciato l’allarme in una lettera a Tajani sul fatto che le aziende produttrici di automobili stavano “giocando d’azzardo” con i testi Ue sulle emissioni. Ma secondo il quotidiano britannico alla lettera non sarebbe seguito un intervento tempestivo per far fronte al problema e porre fine agli escamotage usati dai produttori, ma anzi si sarebbero lasciate in vigore le vecchie regole fino al 2017. L’articolo è uscito in due versioni molto diverse, quella sul cartaceo che conteneva solo le accuse a Tajani, e un’altra più ampia sull’online con le risposte e le puntualizzazioni dello stesso ex commissario.
Il problema delle discrepanze tra le emissioni rivelate dai test e quelle reali su strada “era stato sollevato dalla stessa Commissione nel 2012, quando affermammo in una comunicazione a Consiglio Ue, Parlamento europeo e Cese che era necessario un intervento sul tema. Siamo stato noi i primi a denunciare il problema”, ha dichiarato Tajani in una conferenza stampa al Parlamento di Strasburgo mostrando i documenti ufficiali, tra cui la stessa comunicazione del 2012. Il vicepresidente ha reso pubblica anche la sua lettera di risposta a Potocnik e un’altra lettera che i due scrissero insieme all’allora ministro dell’ambiente della Danimarca, Ida Auken, che aveva sollevato il problema. Nella lettera gli allora commissari scrivevano che la Commissione era “a conoscenza della situazione” e stava lavorando per l’introduzione del nuovo test, il Real drive emission, che sarebbe dovuto essere approvato “entro il 2014”, per entrare in vigore nel 2017.
Tre anni sono un periodo lungo per l’entrata in vigore, ma secondo i due commissari bisognava tenere in considerazione anche le esigenze dell’industria automobilistica visto che per rispettare i nuovi limiti contenuti nella comunicazione cars 2020 “in molti casi sarà richiesto un significativo ridisegno dei veicoli diesel”. “I tempi erano fissati da tutti, in concerto con il Consiglio”, e si pensava al 2017 perché “non è una normativa facile da cambiare”, ha spiegato ancora Tajani che ha anche insistito sul fatto che queste segnalazioni non avevano nulla a che vedere con lo specifico del caso Volkswagen. “Non è mai arrivata una denuncia circostanziata in quel senso”, ha affermato ancora l’ex commissario ribadendo che “il compito di controllo e denuncia non è dell’esecutivo, ma degli Stati”. Tajani ha anche ricordato che “quando la Francia denunciò che la Mercedes usava dei gas refrigeranti per i condizionatori che violavano le normative comunitarie, intervenni personalmente aprendo una procedura di infrazione. Cosa che in questo caso non potevo fare in mancanza di una denuncia precisa”.
Il gruppo dei liberali Alde però non sembra convinto delle spiegazioni e continua a pensare che ci sia stata una mancanza di volontà di intervento da parte della Commissione, per questo ha chiesto l’istituzione di una commissione di inchiesta parlamentare per far luce su responsabilità di esecutivo comunitario e autorità nazionali. Secondo il capogruppo Guy Verhofstadt, “queste nuove rivelazioni giustificano la commissione di inchiesta”, e “sono in gioco la credibilità dell’Ue e delle sue norme”.