Bruxelles – Mentre il governo si arrovella per trovare le coperture per la legge di stabilità, quest’anno l’Italia butterà via 150 milioni di euro per pagare le multe arrivate dall’Europa. Una cifra da paura a cui siamo arrivati accumulando, negli anni, condanne per non esserci messi in regola con le direttive comunitarie. Le multe comminate dalla Corte di giustizia Ue prevedono infatti non soltanto il pagamento di una somma forfettaria, ma anche il pagamento di una penalità a cadenze regolari fino a che la situazione non sia sanata. E in quattro casi queste penalità le paghiamo tutt’ora.
C’è la condanna, ormai storica, che l’Italia continua a pagare dal 2013 (la sentenza è arrivata nel 2011) per non aver recuperato presso i datori di lavoro gli aiuti, in forma di sgravi fiscali, per i contratti di formazione. Oltre ai 30 milioni una tantum; per questa infrazione l’Italia ha pagato una prima penalità di mora di 16,5 milioni di euro nel 2013, 6 milioni e 200 mila euro nel 2014. E la rata di quest’anno è di 3-4 milioni di euro. La sanzione è infatti regressiva cioè diminuisce mano a mano che l’Italia si mette in regola. Poi c’è il grosso capitolo rifiuti con l’Italia condannata sia per la loro gestione in Campania (che dopo una multa di 20 milioni ci costa 120 mila euro per ogni giorno di mancata applicazione delle regole Ue) sia per le discariche abusive (40 milioni di euro più una penalità fino a 42,8 milioni di euro per ogni semestre che passerà fino alla piena soluzione della situazione). A queste si è aggiunta una nuova sanzione recente, scattata all’inizio di ottobre, per il mancato recupero degli aiuti irregolari dati alle imprese di Venezia e Chioggia. Per questo caso l’Italia è stata condannata al pagamento di un forfait di 30 milioni di euro più altri trenta ogni sei mesi. E la sanzione non è regressiva.
Insomma il conto è salato, nonostante negli ultimi mesi il nostro Paese stia lavorando per limitare il numero di infrazioni. E qualche risultato arriva. Oggi le infrazioni aperte sono 97, sempre moltissime: un dato che ci vede maglia nera in Europa. Ma comunque le cose vanno meglio rispetto ad esempio al 2008, quando l’Italia fece segnare il record negativo di 180 sanzioni. Il minimo storico a cui siamo riusciti a scendere è stato, nel dicembre dell’anno scorso, 89 procedimenti aperti, non molto al di sotto della cifra attuale. Il settore più problematico rimane quello ambientale, seguito da quello dei trasporti e dalla fiscalità in cui ci si rimprovera soprattutto la mancata trasposizione di direttive europee. In generale le difficoltà maggiori si registrano in quei settori dove c’è una forte componente regionale, perché basta che anche un solo comune adotti un atto contrario al diritto europeo perché l’Italia sia condannata e costretta a pagare multe anche molto salate.
Anche per ottobre il nostro Paese si è visto inviare tre lettere di messa in mora, il primo passo verso una procedura di infrazione. Una riguarda la mancata designazione, da parte dell’Italia, di zone speciali di conservazione ambientali previste dalla direttiva Habitat. Ma la Commissione lancia un primo monito all’Italia anche su un altro aspetto della questione rifiuti: non abbiamo aggiornato i piani regionali di gestione, così come, secondo la direttiva comunitaria, bisognerebbe fare ogni sei anni. Sono coinvolte tutte le Regioni e Province autonome tranne 4: Lazio, Marche, Puglia e Umbria. La terza procedura avviata dall’esecutivo Ue riguarda invece la non corretta applicazione delle direttiva europea sulla procedura di consultazione sulle tariffe aeroportuali in alcuni grandi aeroporti italiani (Roma, Milano e Venezia)
Alcune procedure aperte sono anche state chiuse. Così ad esempio quella per cui la Commissione Ue aveva contestato all’Italia di non essersi adeguata alla direttiva che prevedeva, a partire da inizio 2012, gabbie più spaziose per l’allevamento delle galline ovaiole. Il nostro Paese avrebbe infatti dimostrato di essersi uniformato, su tutto il territorio nazionale, alle nuove regole. Archiviato anche un contenzioso sui requisiti per l’accesso al Servizio civile che l’Italia aveva riservato ai soli cittadini italiani, requisito contrario, secondo l’Ue, alla libera circolazione. Chiusi anche casi per la mancata designazione da parte dell’Italia di un organismo che si occupasse dei reclami dei diritti dei passeggeri nel trasporto via mare, uno relativo alla non corretta applicazione italiana della direttiva europea che stabilisce l’obbligo per gli Stati membri di mantenere un livello minimo di scorte di petrolio greggio e anche un contenzioso aperto a causa di una decisione del Comune di Padova, che aveva posto come requisito per alcune assunzioni la residenza nel territorio del Comune da almeno dieci anni, requisito che Bruxelles giudica discriminatorio.