Sabotare viene dal francese sabote significava originariamente urtare con gli zoccoli, nel senso di fare un lavoro fatto male. Più appropriato non si può nel caso di Erri De Luca con la faccenda della TAV. Perché se sabotare è alla fine un diritto quando si rimane nella legalità, fare le cose fatte male è sempre una colpa da cui nessuno ci assolve. E nel caso della TAV i sabotatori sono tanti.
Il treno ad alta velocità e nello specifico, la linea del corridoio europeo Lisbona – Kiev che passa per la Val di Susa, non è un male in sé, come l’inquinamento o lo sfruttamento minorile. E’ uno strumento che fa parte di una strategia europea di trasporti elaborata in un lungo periodo di tempo a livello nazionale e europeo. Di TAV si è occupato il nostro parlamento, il Ministero dei trasporti, le regioni interessate e nostri successivi governi prima di arrivare alla definizione delle linee e alla decisione europea. Era in questo processo decisionale che Erri De Luca e i suoi avrebbero dovuto intervenire per far valere le loro forse giuste ragioni. Non con le molotov sui cantieri.
Neanche i governi nazionali sono però innocenti. La rete transeuropea di trasporto ha una sua coerenza, è stata intesa per incoraggiare l’integrazione dei nostri paesi mettendo in collegamento regioni distanti dell’Unione. Ma per essere efficace deve avere il consenso delle popolazioni coinvolte, deve innestarsi in una realtà consapevole delle potenzialità di una simile infrastruttura e capace di renderla proficua. In questo i governi nazionali hanno sicuramente molto da rimproverarsi. I governi, non l’Unione europea, perché sono loro gli stati sovrani, perché toccava a loro informare, spiegare, valutare, insomma assumersi le responsabilità del progetto sul loro territorio. Invece lo hanno appunto sabotato scaricando su Bruxelles ogni colpa appena sorgevano difficoltà.
Viene poi il sabotaggio francese vero e proprio che è quello dell’establishment intellettuale d’Oltralpe sempre accanito a trattarci con un Cile perenne, dove diritti e libertà vengono calpestati sotto i tacchi di stivali golpisti. Non è nuova la classe intellettuale francese a intromettersi nelle cose italiane con supponenza e superficialità, senza averne davvero conoscenza, come fu il caso nella brutta vicenda di Cesare Battisti. Un atteggiamento irresponsabile, di chi non basa il suo giudizio sull’analisi dei fatti ma su elementi arbitrari e volatili, come il prestigio intellettuale delle persone interessate. Erri De Luca è uno scrittore molto apprezzato in Francia, ergo deve per forza avere ragione lui. Ecco il sillogismo del cieco pensiero francese. La Francia si sente ancora terra d’asilo dei perseguitati italiani, come nel Ventennio. In un suo miraggio autistico e carico di arroganza, pensa che gli unici italiani di qualche valore siano quelli che piacciono a lei. Così santifica ogni esule senza nessuna distinzione, che siano poeti, eroi, navigatori o terroristi.
Da ultimo arriviamo noi italiani, impareggiabili sabotatori di noi stessi. Denunciare un santone d’altri tempi perché incita quattro scalmanati luddisti a divellere la recinzione di un cantiere vuol dire non avere nessuna cognizione di quello che è veramente in gioco nella questione della TAV: la nostra idea di Europa, la centralità della dimensione transfrontaliera, la necessità di una visione politica continentale.
Tutte cose troppo difficili per la nostra classe dirigente che di sabotaggio prospera appunto perché il lavoro fatto male degli altri nasconde il proprio.