Roma – L’inchiostro col quale è stata scritta la legge di stabilità inviata alla Commissione europea non è forse ancora asciutto, ma il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, lancia già il guanto di sfida a Bruxelles. Se arriva una bocciatura della manovra? “La ripresentiamo tale e quale e non cambia nulla”, dice il premier dai microfoni di Radio24.
Il punto sul quale si focalizza lo scontro è il solito: l’abolizione delle imposte sulla prima casa. La Commissione Ue è contraria, e anche ieri lo ha fatto sapere con il vicepresidente Vladis Dombrovskis. Il premier ne fa un “simbolo per dire agli italiani che finalmente le tasse vanno giù”, come ha spiegato ieri presentando il disegno della legge di bilancio, e anche le forze politiche dell’intero arco parlamentare non osano criticare una mossa che toglie una imposta all’80% delle famiglie italiane.
L’inquilino di Palazzo Chigi si mostra intollerante verso i media, responsabili di rilanciare come messaggio di Bruxelles le dichiarazioni espresse “ogni volta che parla il portavoce di terzo rango di un vicecommissario aggiunto”. Poco importa che la critica di ieri arrivasse da un vicepresidente della Commissione, Dombrovskis, non proprio un esponente di secondo piano.
In ogni caso, Bruxelles “non è il nostro maestro” e “non ha titoli per intervenire” indicando quali tasse vadano tagliate e quali no, tuona Renzi. “Può darci suggerimenti”, concede, ma “basta con la sudditanza psicologica dell’Italia” nei confronti degli “eurocrati”.
Il premier è dunque pronto allo scontro. L’unico diniego che appare disposto ad accettare riguarda il riconoscimento della clausola di flessibilità sulle spese straordinarie sostenute per l’emergenza migranti. “Non so se ce la riconosceranno”, ha dichiarato ieri a margine del Consiglio europeo. Per il resto non è intenzionato a cambiare una virgola della manovra, forse perché ritiene che proprio il Consiglio lo sosterrà in caso di una – ancora del tutto ipotetica – richiesta di infrazione da parte dell’esecutivo comunitario.
Anche perché, ricorda Renzi, l’Unione europea è “una istituzione a cui diamo 20 miliardi di euro ogni anno e ne prendiamo indietro 11”. Non solo, siamo tra i pochi paesi che rispettano “il parametro del 3% (nel rapporto deficit/Pil) e le regole del Fiscal compact”, rivendica, anche se in verità il pareggio di bilancio, finora, è sempre stato rinviato dal nostro Paese, ma con il benestare della Commissione.